Il modello Katyusha, dal ciclismo agli altri sport

Il manager generale del team Katyusha, Viatcheslav Ekimov (Grigory Sisoev / RIA Novosti)

Il manager generale del team Katyusha, Viatcheslav Ekimov (Grigory Sisoev / RIA Novosti)

Viatcheslav Ekimov, general manager della squadra russa, racconta a Rbth quali sono gli obiettivi per i prossimi anni

Certezze, obiettivi, speranze. Per portare le due ruote della Federazione ai massimi livelli nelle competizioni internazionali. Il manager generale del team Katyusha, Viatcheslav Ekimov, ci parla di ciclismo russo all’estero, dei problemi di composizione della squadra e di un’ipotetica corsa in Crimea.

Quando si parla di progetti sportivi russi in Occidente, si pensa subito al “Chelsea” di Roman Abramovitch oppure ai “Jokerit” di Roman Rotenberg. Molto meno nota nel nostro paese è “Katyusha”. Come mai?

“Per ragioni obiettive ci risulta molto difficile competere con il calcio e l’hockey, sport molto più popolari del ciclismo. Ma anche in simili circostanze noi continuiamo ovviamente a fare in modo da rendere popolare questo sport. Abbiamo una nostra filosofia, che mira a sostenere e sviluppare le grandi tradizioni. “Katyusha” fa parte di un grande progetto russo per lo sviluppo del ciclismo che funziona da già sei anni. E in sei anni, mi creda, abbiamo ottenuto risultati considerevoli, il più importante dei quali è la nostra posizione stabile nel gruppo delle sei migliori squadre mondiali di ciclismo".

Questo scarso interesse per il ciclismo è strano, in ogni caso, perché le tradizioni del ciclismo russo non sono meno ricche di quelle del calcio o dell’hockey, non crede?

“Che dire? Fino a tempi molto recenti la bicicletta era il regalo più popolare che si potesse fare ai bambini… In seguito, però, questo fenomeno è scomparso. Ormai la gente si sposta per lo più in automobile. D’altro canto, abbiamo qualche piccolo motivo per nutrire ancora ottimismo: oggi nelle grandi città le passeggiate in bicicletta guadagnano sempre più popolarità. Sono in corso di realizzazione molti chilometri di piste ciclabili e spero che presto ci sarà un’intera generazione di persone cresciute praticando questo nostro sport, anche solo a livello amatoriale”.

“Katyusha” si presenta come un progetto russo, ma fino a oggi a far parte del team ci sono stati solo stranieri…

“Senza legionari non possiamo raggiungere il numero minimo di punti necessari per prendere parte al Giro del Mondo. Ci servono leader del livello dello spagnolo Joaquim Rodriguez o del norvegese Alexander Kristoff. D'altro canto, i loro successi costituiscono un bell’esempio per gli sportivi russi. Per esempio quest’anno c’è stato un miglioramento generale di molti giovani corridori: Iuri Trofimov ha conquistato il Critérium del Delfinato, Sergeï Tchernetski è entrato nella rosa dei cinque migliori ciclisti lungo il difficile Tour di Pechino e Alexandr Porsev ha raggiunto risultati equiparabili a quelli dei migliori sprinter del mondo. Il mio sogno è riuscire a mettere insieme un team composto solo da ciclisti russi, ma tenuto conto di come funziona per il momento il Campionato del mondo purtroppo è impossibile” .

“Katyusha” organizza da molti anni campi di allenamento in Italia, Spagna, e Austria, con base in Europa. Nei vostri progetti sottolineate in modo particolare il fatto che si tratta di un team russo?

“Il desiderio di farlo c’è, sicuramente, ma non tutto dipende da noi. In Europa è più facile regolare i problemi di organizzazione. Per esempio in occasione degli allenamenti, è nostra abitudine occuparci dell’equipaggiamento degli sportivi. Se qualcosa non funziona o non va bene per un motivo o per l’altro, lo sostituiamo in giornata. In Russia, invece, servirebbe molto più tempo. Qui la logistica e l’interesse economico essenziale rivestono un ruolo importante. Oltre tutto, anche il clima ha la sua importanza: le nostre sessioni si svolgono a dicembre e in quel periodo nel nostro paese una buona parte del territorio è già ricoperta di neve”.

E per quanto concerne l’organizzazione delle tappe del Campionato del mondo in Russia ? È così complicato organizzare una corsa di un giorno – per esempio in Crimea – dove non c’è alcun problema di tragitti e dove le condizioni climatiche sono favorevoli?

“La situazione adesso è molto interessante. Il Tour di Pechino è scomparso dal calendario e al suo posto non è stato inserito ancora nulla. È vero, quella corsa potrebbe essere disputata in Russia. Per esempio, potremmo proporre la Crimea: a ottobre il tempo nella penisola è meraviglioso, molti alberghi sono vuoti e ci sono strade eccellenti. E credetemi: i ciclisti ci andranno con piacere. Sarebbe bellissimo tornare a gareggiare sulle strade della Crimea, visto che vi è una molteplicità di percorsi e difficoltà. Capisco, tuttavia, che la questione non riguarda soltanto l’ambito sportivo”.

Le tendenze del ciclismo moderno paiono oggi alquanto democratiche. I tre Gran Tour europei, il Giro d’Italia, il Tour de France e la Vuelta spagnola negli ultimi anni hanno preso il via in modi insoliti, o in altri paesi, o in luoghi stravaganti come una portaerei. Fino a qualche anno fa, invece, si svolgevano unicamente negli ambiti nazionali, e quindi rispettivamente in Italia, in Francia e in Spagna.

“Tutto ciò dimostra due fatti, e il secondo è una conseguenza del primo. Innanzi tutto, gli organizzatori perseguono obbiettivi economici. Si tratta di mezzi supplementari che sponsor e agenzie di pubblicità possono sfruttare. Per esempio, dalle cifre in mio possesso risulta che nei tre giorni nei quali il Tour de France ha attraversato la Gran Bretagna, il Tour ha pareggiato tutte le sue spese. Oggi si dice che la corsa potrebbe partire in Kazakistan. Da questo solo fatto deriverebbe una ulteriore popolarizzazione del ciclismo. Più sono i paesi interessati, più ci saranno possibilità di guadagno”.

L'originale dell'intervista è qui

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