Oksana Savchenko soffre di una grave patologia congenita: un glaucoma a tutti e due gli occhi. I medici glielo avevano diagnosticato con troppo ritardo e dopo essersi sottoposta a un intervento ha potuto recuperare parzialmente la vista solo da un occhio. Da allora Oksana vede il mondo in maniera diversa, ma ciò non le ha impedito di diventare una delle più grandi stelle del firmamento sportivo internazionale. All’età di 22 anni la nuotatrice russa ha fatto incetta di tutti i premi possibili, stabilendo più di un record mondiale e conquistando oltre cento medaglie d’oro.
Oksana Savchenko è nata il 10 ottobre 1990 a Petropavlovsk-Kamchatsky. All’età di 13 anni ha vinto la sua prima gara importante. Da allora ha conquistato oltre cento ori e ha vinto i Campionati del mondo e d’Europa almeno 50 volte. I primi tre ori paraolimpici li ha conquistati ai Giochi di Pechino del 2008. A Londra 2012 l’atleta russa ha conquistato altri cinque ori e si è aggiudicata per ben otto volte il titolo di campionessa paraolimpica
Oksana ci viene incontro nell’ingresso della piscina Burevestnik di Ufa. Occhiali scuri, capelli raccolti in uno chignon, le ampie spalle da nuotatrice avvolte in una maglia a righe dai colori brillanti. Dai suoi gesti e dalla sua andatura traspare sicurezza. Si guarda intorno, ma non ci individua subito. Le facciamo un cenno con la mano e Oksana si toglie gli occhiali e ci accoglie con un timido sorriso. La seguiamo nella piscina dove si allena. Nella piccola palestra dalle pareti scrostate verde pallido fa i suoi esercizi di riscaldamento una ragazza, che distingue a malapena gli oggetti intorno a sé, monitorata dalla madre che non si allontana da lei di un passo. È un’altra allieva della squadra di Igor Tveryakov, l’allenatore di Oksana, e ce la sta mettendo tutta per allenarsi in vista delle Olimpiadi.
“Avevo notato Oksana fin dai tempi dei Campionati juniores europei nella Repubblica Ceca nel 2004, - racconta l’allenatore. - Aveva solo tredici anni, ma io avevo già colto in lei una forte determinazione a vincere. I suoi genitori erano molto socievoli e insieme avevamo conversato di tutto; dissi loro da subito che sarebbe diventata una grande campionessa. Era cresciuta in Kamchatka con la sua famiglia, in un pensionato. Aveva cominciato a strofinarsi gli occhietti fin da quando era ancora in fasce, ma il medico le aveva diagnosticato solo una congiuntivite.
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Medaglie per l'Italia, cuore russo |
La piccola, però, non faceva che piangere e la notte non riusciva a dormire. In seguito risultò che il suo nervo ottico aveva cominciato a necrotizzarsi. Nell’arco di un anno venne sottoposta a parecchi interventi che bloccarono il processo degenerativo, ma perse comunque la vista da un occhio”.
Il numero di premi e medaglie conquistati da Oksana Savchenko ammonta non solo a decine, bensì a centinaia. Ai campionati russi la nuotatrice ha vinto più di 60 volte e si è classificata prima ai campionati d’Europa e del mondo almeno 50 volte. Agli ultimi due Giochi paraolimpici si è aggiudicata il titolo di atleta più premiata della nazionale russa.
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Quando le gambe diventano ali |
“A dire il vero, dopo Pechino, ho cominciato a soffrire della sindrome della star, - confessa Oksana. - Ma ci hanno pensato gli amici e Igor Tveryakov a debellare questa sindrome sul nascere. Dopo le Paraolimpiadi sono arrivata al primo campionato europeo con la convinzione di essere la campionessa più grande e imbattibile del mondo, e avendo vinto i Giochi paraolimpici, ero sicura al cento per cento di poter vincere anche lì e l’esito è stato che ho perso tutte le gare. Così dopo il risultato io e il mio allenatore ne abbiamo discusso e lui mi ha spiegato che non esistono solo le vittorie, ma anche le sconfitte, e che bisogna accettarle, senza drammatizzare, basta impegnarsi di più. Questa è una regola psicologica che vale in generale nella vita. Dopo quel campionato non ho perso più nessuna gara”.
Quando si parla con Oksana ci si sente contagiati dalla sua energia. Nelle sue parole non c’è alcuna ombra di falsità, artificiosità o vanteria. “Mia madre ha cercato di crescermi come se non avessi nessuna disabilità fisica. Ho dovuto adeguarmi e impegnarmi il doppio degli altri nello studio; i miei compagni di classe mi prendevano in giro per il mio occhio strabico, ma sono cresciuta come una persona normale e mi hanno sempre trattato come tale. Nuotavo insieme a tutti gli altri bambini, allora non esistevano le squadre paraolimpiche”, racconta Oksana, ricordando con serenità la sua infanzia.
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Le medaglie russe delle Paraolimpiadi di Londra 2012: ecco tutte le foto! |
“Non me la sono mai presa con Dio per avermi fatto così. Sono felice di poter vedere il mondo, anche se da un occhio solo. Evito di pensare a come sarebbe stata la mia vita se avessi avuto una vista buona. Sono come sono. E mi è difficile immaginare a cosa sarebbe accaduto, se nella mia vita non ci fosse stato lo sport. Ma quando qualcuno dei miei conoscenti comincia a lamentarsi con me dei suoi problemi, che alla fine non sono poi così rilevanti, io gli consiglio di guardare le Paraolimpiadi!”.
Siamo seduti a un tavolo di plastica blu lungo il bordo della piscina di 25 metri, due volte più corta di quelle delle principali competizioni internazionali. Oksana intanto fa le sue vasche. All’inizio nella stessa corsia si allena anche un altro nuotatore; solo quando la piscina si svuota, gli atleti paraolimpici hanno la possibilità di allenarsi singolarmente.
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Lo speciale su Sochi 2014 |
“Per mantenersi in forma questo tipo di allenamento è sufficiente, ma per conseguire risultati effettivi occorre addestrarsi in squadra. Prima delle Olimpiadi ne esistevano sette di squadre, ma quest’anno ad allenarsi per il campionato del mondo sono solo in tre. Ora tutto il denaro viene destinato alle discipline sportive invernali in previsione dei Giochi Olimpici di Sochi. Eppure noi continuiamo a vincere! Un gatto che ingrassa non sempre ottiene buoni risultati andando a caccia per le strade, mentre se è affamato è più scaltro”, dice sorridendo Tveryakov.
Tveryakov ha la sua storia da raccontare. Agli atleti paraolimpici di Ufa, che lui allena, viene spesso contestato il diritto di poter partecipare alle Paraolimpiadi perché sani. Di simili accuse si può trovare traccia nella stampa locale. “Per noi un disabile è una persona senza braccia o senza gambe, ma nel movimento paralimpico internazionale gli atleti con disabilità fisiche sono divisi in categorie nel cui ambito gareggiano gli uni con gli altri. Tutto viene rigidamente controllato da commissioni speciali, e non sono ammissibili astuzie di nessun genere. Tuttavia, da noi non si ama chi vince e io ho messo in guardia i miei ragazzi: ora che vi siete conquistati la vostra porzione di fama, aspettatevi la vostra porzione di fango. E Oksana, in quanto atleta pluripremiata, suscita più invidia degli altri”, spiega con tono risentito l’allenatore, con un misto di sgomento e amarezza.
Oksana aggiunge che le accuse mosse dalla gente non la fanno adirare, ma la offendono profondamente. Rammenta la sua partecipazione ai primi campionati paraolimpici in Russia, quando gli organizzatori non potevano permettersi neppure di acquistare le medaglie, per non parlare poi di altri premi e ricompense. Ma le difficoltà economiche non hanno mai influito sulla determinazione a vincere.
“Prima ci sentivamo felici anche se solo ci venivano pagate le trasferte per le gare- afferma la Savchenko. - Solo ora si è cominciato ad assegnare premi in denaro e appartamenti. È vero, alcuni ragazzi vogliono diventare atleti paraolimpici perché questo gli consente di guadagnare qualcosa. Ma anche se la motivazione è questa, se si arriva allo sport per denaro, l’importante è comunque arrivarci. L’essenziale è che l’atteggiamento verso di noi cambi e che siamo considerati finalmente degli atleti”.
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