Un libro quale "Putin e la ricostruzione della grande Russia" di Sergio Romano (Longanesi, pp. 160, 18 euro), non può che suscitare grande interesse nell’attuale momento storico. Molto partecipata da spettatori italiani e russi, la presentazione, tenutasi a Milano presso l’Associazione Italia-Russia, ha anticipato ai lettori i temi del volume.
All’opposto di quella “russofobia” che ancora imprigiona gran parte dell’Occidente, le posizioni dell’autore, ambasciatore e politologo, sono concilianti e mirano alla comprensione delle ragioni storiche e culturali che orientano la politica attuale della Federazione Russa.
Il dibattito, stimolato dalle domande del politico Gianni Cervetti, si è aperto come nel libro con un ritratto del giovane Putin, colonnello del KGB di stanza nella DDR alla vigilia della caduta del muro, provato da quel senso di disfacimento dello Stato che si sforzerà sempre di combattere. Il Presidente della Federazione Russa non ha mai mirato alla restaurazione del comunismo anzi, ha precisato Romano: “mi chiedo se sia mai stato comunista. Da giovane era attratto dai servizi segreti, è sempre stato patriottico e nazionalista, ma neutrale rispetto all’ideologia del settantennio sovietico. Suo intento è la restituzione dell’autorità della Russia. Ma come farlo? Bisogna lavorare sulla storia, recuperando ciò che è nobile: a partire dal valore sul campo di battaglia, perché i russi sono grandi guerrieri, fino all’Ortodossia, visto che Mosca è stata una seconda Roma, con un rapporto Stato-Chiesa molto stretto fino alla Rivoluzione d’ottobre”. A proposto del sentimento religioso di Putin, per Romano il leader appare molto devoto, ma certo la Chiesa è agli occhi di un conservatore un forte elemento d’ordine.
Se Putin può fare a meno di Lenin non può farlo di Stalin, è la considerazione dell’autore del libro. Un personaggio molto difficile da recuperare: per le grandi purghe, la brutalità nell’accanimento contro i nemici, le deportazioni di massa delle minoranze, ma con il merito storico di vittorie che hanno cambiato le sorti della Seconda guerra mondiale. Un fattore che, secondo Romano, “non si può dimenticare e suscita giustamente un sentimento d’orgoglio nel popolo russo”.
Nel libro si affronta anche quella che Romano definisce la “strategia eurasiatica” di Putin, che prende le mosse dalla diversità della Russia: “Il solo Impero con colonie all’interno e non fuori dal territorio nazionale e cittadini che non sono russi. Putin cerca convivenze: il problema è come governare un Paese etnicamente e religiosamente diverso. Certo era più facile farlo con l’ideologia, che generava un sentimento di uguaglianza e parità. Oggi Putin sta cercando di creare un’identità eurasiatica perché ritiene che se la Russia si uniformasse all’Europa occidentale scontenterebbe quella parte della popolazione che russa non è.”
Un approccio, quello dell’ex ambasciatore, non di critica né di rifiuto, ma di comprensione, per “un Paese che va innanzitutto capito: con la sua storia, i suoi errori, ma anche i suoi sentimenti.”
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