In città, oltre ai medicinali, scarseggiano i generi di prima necessità come il pane e l’acqua (Foto: AP)
La maggior parte dei rifugi tradizionali è inagibile. E durante i bombardamenti sono pressoché irraggiungibili. Così la gente si rifugia nelle cantine. “Abitiamo accanto all’Ospedale distrettuale dei bambini (nel quartiere Kalininsky di Donetsk) - racconta Irina che vive in via Krasnoflotskaya – e da noi hanno affisso un avviso i cui si dice che quasi in ogni casa c’è un rifugio dove ci si può nascondere, compresa la nostra. Ma nella nostra casa c’è solo una cantina per gli impianti dove non solo non potrebbe rifugiarsi una persona, ma neppure un gatto. La cantina è di un metro quadrato e si sente la puzza delle fognature. Così ce ne stiamo chiusi in casa ad aspettare che una bomba dell’artiglieria ci cada addosso”.
Dontesk è di fatto assediata: la maggior parte delle strade e delle vie di accesso sono controllate dai militari, negli ultimi giorni i collegamenti arerei sono stati interrotti e le linee ferroviarie dirette sono state distrutte. In sostanza in città tutte le normali vie di approvvigionamento risultano impraticabili.
Di conseguenza sono sorti gravi problemi. La situazione sul piano sanitario è critica. Negli ospedali è rimasto solo il 20% del personale. A mancare sono soprattutto chirurghi, anestesisti, ortopedici, personale paramedico e medici del pronto soccorso. Difficile è anche la situazione dei farmaci.
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A detta di Petr Sergeevich, medico di turno all’Ospedale traumatologico distrettuale di Donetsk, negli ultimi tempi la situazione si è fatta molto pesante. “Abbiamo una carenza catastrofica di personale. Ci portano combattenti separatisti e civili feriti. Il personale dorme tre ore al giorno e i medici sono semplicemente distrutti. Il 70% dei feriti sono stati colpiti da schegge. Spesso le ferite sono molto gravi e con i farmaci abbiamo dei problemi. C’è un estremo bisogno di sangue e di suoi derivati. Tra poco finiranno anche gli antibiotici e le soluzioni disinfettanti e non avremo niente per pulire le ferite”.
La situazione è critica anche sul fronte dei generi alimentari. Attualmente in città sono attivi meno di un quarto dei negozi di alimentari, inclusi quelli delle maggiori catene. La penuria di molti generi alimentari si fa già sentire, ma per il momento la fame non dilaga. Sugli scaffali dei negozi si possono ancora trovare carne e pesce in scatola, surgelati, frutta fresca e conservata e dolciumi.
Le cose invece vanno molto male con carne, farina, pasta e soprattutto con il pane e l’acqua. Trovare del pane è già diventato un problema: la maggior parte dei chioschi di vendita del pane sono stati chiusi e si può acquistarlo solo nei supermercati dove si lo si fa.
I residenti di vari quartieri della città commentano così la situazione: “Per il momento non siamo ancora alla fame, i generi alimentari ci sono, ma molti negozi hanno chiuso e bisogna andare nei supermercati ed è scomodo”. “Non si riesce più a trovare del pane fresco, né acqua minerale, mio marito fuma e deve andare in giro in cerca di sigarette”. “Vivo con mia nipote di 12 anni e la bambina ha voglia di mangiare della frutta o dei gelati. Ma i chioschi non esistono più e per strada non ne trovi, mentre una volta li vendevano a ogni angolo; ora invece non compri più né l’anguria, né l’uva, e poi è aumentato tutto. Vado anch’io a cogliere le prugne e le mele dagli alberi per dare almeno un po’ di vitamine alla bambina”.
Molti stanno cercando di lasciare Donetsk
Attualmente ci si può riuscire solo in due modi: con la ferrovia o in automobile. Lungo la tratta Donetsk-Iasinovataya le linee ferroviarie sono state distrutte dalle bombe. Per prendere il treno è necessario raggiungere Konstantinovka con delle autolinee. Ci si può arrivare con linee speciali di pullman che partono ogni 40-45 minuti. I conducenti guidano seguendo un percorso particolare, a zig zag, per evitare la maggior parte dei circondari colpiti dai bombardamenti dell’artiglieria. Il tragitto può durare, a seconda della fermata, da un’ora e mezza a due ore.
A questa situazione la gente reagisce con una certa esaperazione. “È come se cercassero di farci finire in una trappola. Prima hanno bombardato la nostra stazione, poi hanno devastato le vie di comunicazione e ora hanno distrutto con le bombe Yasinovataya. Che cosa dobbiamo fare, andarci a piedi sotto le bombe o sui carri?”. “E dove sono i volontari? Li abbiamo sentiti nominare solo in tv. Gli unici volontari sono i tassisti che ti rapinano. E i soldi come si fa a trovarli, non ne ce ne sono più; per prendere un pullman bisogna stare in coda anche tre ore”.
Si potrebbe prendere il taxi, ma è caro. Una corsa fino alla stazione ferroviaria di Konstantinovka costa 300 grivne a persona e i tassisti non hanno intenzione di abbassare le tariffe. Ciò nonostante, una volta superata la simbolica barriera dei posti di blocco, la gente riesce a raggiungerla. E da lì in treno si muove verso ogni destinazione.
L’altra possibilità è arrivarci in auto. Dopo aver superato alcuni posti di blocco dei separatisti e il controllo di bagagli e documenti, le auto vanno verso Mariupol, una zona relativamente sicura, e una volta lì prendono direzioni diverse. I pullman trasportano le persone soprattutto a Berdiansk e nella striscia di Belosaraisk, località di villeggiatura non lontane da Mariupol.
Secondo le stime di più parti, a lasciare Donetsk sarebbero in media 1.500 persone al giorno e nella città non sarebbero rimasti più di 3.000 abitanti. Considerando che anche i quartieri centrali sono già stati colpiti dai bombardamenti dell’artiglieria, il numero delle vittime aumenta di giorno in giorno ed è ipotizzabile che il flusso degli esuli sia destinato ad aumentare.
Vera, una giovane mamma con sua figlia Alina di 9 anni: “Non ho nessuna voglia di andar via, ma ho paura, sono terrorizzata. Hanno già cominciato a bombardare il centro. La casa della mia amica è stata colpita da una bomba dell’artiglieria e sono rimasti senza finestre, anche se nessuno è rimasto ucciso. Ho tanta paura per la mia bambina e così lei mi tranquillizza. Andiamo a Mariupol staremo lì ad aspettare finché tutto non si calma”.
Oleg e Sveta, una coppia di coniugi: “Ormai non si può più resistere. Siamo stufi, non si sa quando finirà. Nostro figlio è a Poltava dalla nonna e noi avremmo voluto rimanere, ma ormai abbiamo paura di rimanere in casa e poi i soldi stanno finendo”.
Irina Petrovna, pensionata: “Vado da mia sorella, a Belgorod, in Russia. È da un pezzo che mi chiede di andare, dice che lì è tutto tranquillo. Nella mia vita non avrei mai pensato di vedere la guerra. È la mia città natale, qui ho lavorato tutta la vita e ho cresciuto i miei figli. Ora fuggo dai bombardamenti. Qualcuno riuscirà a fermare tutto questo?”
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