(Foto: Ria Novosti)
In Russia ha cominciato ad essere operativo il divieto sulla fabbricazione e la vendita di alcuni tipi di lingerie e di pizzo. Si sono ribellati tutti, produttori, venditori, acquirenti. A parte questo, relativamente non molto tempo fa era quasi impossibile procurarsi biancheria intima di qualità. In realtà la legge non vieta la biancheria intima di pizzo, come hanno già fatto in tempo a scrivere i blogger più impressionabili. Essa si limita a fissare i requisiti di sicurezza: l’indice di igroscopicità (capacità di assorbire le molecole d’acqua presenti nell’ambiente) dell’abbigliamento intimo non deve essere inferiore al 6%, mentre nei prodotti sintetici è di poco superiore al 3%.
“La biancheria intima non fa respirare, è la stessa cosa che indossare un sacchetto di plastica!”, -così si è espressa sul portale Snob Elena Uvarova, professore della cattedra di ostetricia, ginecologia, perinatologia e riproduttologia di una delle più grosse università di medicina russe. Tuttavia, ha sottolineato lei stessa, lo stato dovrebbe condurre un’attività educativa, non semplicemente vietare, ma spiegare le ragioni per le quali si è arrivati a una tale decisione. L’ideale sarebbe che ognuno risolva da sé queste questioni. “Questa legge è una violazione della privacy assolutamente inaccettabile”, - ha dichiarato nello stesso Snob il medico dermatologo Dar’ja Baskakova.
Obbrobrio di qualità
La legge ha particolarmente preoccupato coloro che ricordano ancora i giorni della scarsità o assenza delle merci in Unione Sovietica. Quando nel 1991 cadde la cortina di ferro, in cambio della comoda, ma decisamente poco attraente biancheria di produzione sovietica, arrivarono gli articoli sintetici importati e l’erotico intimo di pizzo. Se si pensa a quello che portavano sotto il vestito le cittadine sovietiche è comico e tragico allo stesso tempo. La famosa attrice Renata Litvinova nello show televisivo “La bellezza di ciò che è nascosto” si lamenta: “la storia dell’intimo russo è il racconto delle umiliazioni che la gente ha dovuto sopportare per via della politica statale”.
Si credeva che i costruttori del comunismo non avessero tempo per sciocchezze tali come quella di avere una bella lingerie. Dove sta di casa l’abbigliamento intimo, dove il comunismo? Trattasi di due cose assolutamente incompatibili, inavvicinabili! Il sociologo Ol’ga Gurova nel suo lavoro “La biancheria intima nella cultura sovietica: peculiarità delle cose private” osserva che il requisito principale era la cosiddetta “decenza”. Ognuno la capiva a modo suo. “Decente è quanto si adatta per misura, per colore”, -ha detto a Gurova a una donna nata nel ’50. E nient’altro! Quando invece sono più importanti la qualità e la sicurezza della salute!
Secondo i canoni sovietici, la donna ideale è statuaria, muscolosa, con vita e cosce forti, un seno grande col quale nutrire i futuri costruttori del comunismo. E non è sexy. Di occuparsi della lingerie sexy non passava per la testa a nessuno. Per non parlare degli uomini, a maggior ragione. Gerbert Wells ricorda di come in una sera di festa nella Pietrogrado del 1921 uno scrittore gli gridò: “Nessuno delle persone qui presenti si risolverà mai a sbottonarsi il gilet di fronte a Lei, perché sotto a quello non c’è nulla tranne stracci sporchi che si usavano chiamare una volta, se non sbaglio, biancheria”. La biancheria del periodo sovietico è diventato simbolo di bruttura per gli stranieri. “Nel 1958 sono venuti in visita dalla Francia Yves Montand e Simone Signoret, -racconta Renata Litvinova. Durante la loro tournée hanno fatto il pieno di intimo sovietico: pantaloni fino al ginocchio, calze di carta-cotone marrone, reggiseni a paracadute. Tutto questo l’hanno portato in Francia e hanno organizzato una mostra dove alcune donne francesi sono persino svenute.
Prima vietano le mutandine, poi tutto il resto
Tuttavia, i deboli tentativi di cambiare la situazione sono stati presi gradatamente. Nel 1954, Ekaterina Furceva, unica rappresentante del gentil sesso al governo, dichiarò: “Ogni donna sovietica ha il diritto ad un reggiseno di qualità”. E così comparvero reggiseni più o meno di qualità, di produzione locale. Se pur, non così attraenti. Già alla fine degli anni ’60 la DDR cominciò a piazzare in Russia biancheria con pizzo e completini. Molti, non essendo abituati a tale lusso, decisero che erano vestiti e presero a uscire così vestiti in strada, se non non addirittura a teatro.
Tutto cambiò dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Gli accessori intimi importati cominciarono a comparire sugli scaffali in gran quantità e varietà. Vennero aperti sexy shop, boutique, in vendita vi era biancheria per tutti i gusti in diverse categorie di prezzo. In vent’anni di esistenza della Russia post-sovietica si è avuto il tempo di abituarsi a tutta questa abbondanza. Comprensibile dunque è il timore: davvero tutto questo non ci sarà più? Di tornare indietro nessuno ne ha la minima intenione. Anche se per motivi d’igiene o in nome delle buone intenzioni dei legislatori russi. Dapprima vieteranno le mutandine e poi verrà tutto il resto. Qualsiasi divieto non è che limitazione della libertà per quelli che ricordano bene quei tempi. Persino quando il divieto riguarda cose da poco come le mutandine.
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