Nel campo dello spazio, i rapporti tra le comunità scientifiche russa e italiana sono sempre stati intensi. Una quindicina di anni fa, poi, lo spazio è stato al centro di un importante processo di rinnovamento (Foto: Roscosmos)
Si riunivano tutti i giovedì nelle stanze dell’Institute for Scientific Interchange di Torino. E trascorrevano ore, nottate intere, a discutere di fisica. Erano dibattiti concitati, quasi “aggressivi”, le cui tesi venivano contestate, difese e rovesciate in un gioco di dialettica che poteva durare anche dodici ore. “Erano straordinarie lezioni di scienza e creatività. Che solo i russi riuscivano a dare”. Cercare di ricostruire il quadro delle cooperazioni tecnico-scientifiche tra la Russia e l’Italia significa avventurarsi in un passato non troppo lontano, ma molto diverso rispetto a oggi. Un passato che Mario Rasetti, professore emerito di Fisica Teorica al Politecnico di Torino, presidente della fondazione Isi (Institute for Scientific Interchange) ricorda ancora bene. “Ospitavamo quindici fisici russi nell’ambito di un progetto di collaborazione con l’istituto Landau di Mosca. Poi, con la fine dell’Urss e l’esodo degli scienziati sovietici all’estero, tutto venne interrotto”.
Era la fine degli anni Ottanta. Il muro di Berlino sarebbe caduto da lì a poco. E la scienza russa, che vantava “il miglior sistema formativo al mondo”, non sarebbe stata più la stessa. E anche le collaborazioni con l’Italia avrebbero decisamente cambiato volto. Oggi, nell’elenco dei Protocolli esecutivi scientifici e tecnologici della Farnesina, il partenariato con la Russia risulta nella sezione “non più in vigore”.
Tracciare un disegno delle relazioni scientifiche tra questi due paesi, significa avventurarsi su un terreno impervio e sconnesso, fatto di piccoli e grandi progetti, portati avanti in silenzio nei laboratori delle università, contrastati dal taglio dei fondi, affossati dalla crisi economica e da una cattiva gestione del denaro. Progetti che vengo- no tenuti in vita solo dall’impegno quotidiano dei singoli ricercatori e delle fondazioni, che riescono, nonostante le difficoltà, a farsi spazio sulle pagine di importanti riviste scientifiche.
Pretendere di snocciolare numeri e statistiche è pressoché impossibile. Le cifre si perdono nel mare di progetti sostenuti dai singoli istituti di ricerca che, attraverso accordi bilaterali e multilaterali, arrivano a fondere sapere e competenze russe a quelle italiane. Tra le iniziative più prestigiose realizzate insieme alla Russia, si contano l’esperimento Pamela, cui l’Italia ha partecipato con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), avviato al fine di studiare i raggi cosmici per cercare materia oscura e antimateria; l’esperimento Millimetron, per realizzare uno strumento in grado di osservare l’universo con una sensibilità senza precedenti; l’esperimento Gamma 400, progetto che nasce con lo scopo di misurare lo spettro dei raggi cosmici; e Mars 500, la prima simulazione di un vero e proprio volo verso Marte.
“Le collaborazioni con la Russia vantano una tradizione intensa e robusta. E sono supportate da una profonda stima reciproca - spiega Pietro Frè, professore di Fisica Teorica all’università di Torino, addetto scientifico dell’Ambasciata italiana a Mosca -. Oggi le collaborazioni tra questi due paesi riguardano soprattutto il campo della fisica e tutte le sue declinazioni, la matematica e in parte la chimica. La collaborazione nel settore biomedico è molto più giovane e meno sviluppata, ma si sta facendo spazio negli ultimi anni. Senza dimenticare, ovviamente, il settore spaziale”.
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E proprio lo spazio, una quindicina di anni fa, è stato al centro di un importante processo di rinnovamento in ambito bilaterale: “I rapporti tra le comunità scientifiche ci sono sempre stati fin dai tempi dell’Urss. Alcuni nostri esperti, ad esempio, si sono formati nell'Unione Sovietica. Inizialmente tutto era gestito dalle università. Poi, con la nascita delle agenzie spaziali, il dialogo si è fatto più strutturato - spiega Gabriella Arrigo, responsabile delle relazioni internazionali per l’ASI, Agenzia Spaziale Italiana -. In particolar modo, i rapporti con la Russia si sono intensificati dopo il 2000 quando è stato siglato un accordo relativo all’esplorazione e all’utilizzo dello spazio extra-atmosferico a scopi pacifici. Prima di quella data le relazioni erano sicuramente intense, ma un po’ scoordinate. Dopo il 2009, però, la crisi ha iniziato a farsi sentire. Oggi potremmo moltiplicare le nostre collaborazioni con i russi. Ma non ci sono i soldi per farlo”.
Un altro settore che ha unito la Russia allo Stivale è stato il nucleare: al crollo dell’Urss hanno fatto seguito precise scelte di politica internazionale volte a evitare che le enormi competenze tecniche degli scienziati sovietici venissero disperse. O finissero nelle mani sbagliate. “Con la caduta dell’Impero sovietico erano stati sigla- ti diversi accordi per gestire il materiale nucleare presente nelle armi, nei sommergibili e nei reattori. Inoltre, abbiamo partecipato al monitoraggio ambientale a seguito dell’incidente dei Chernobyl”, spiega l’ingegner Alberto Di Pietro, dell’unità relazioni esterne-relazioni internazionali dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile).
Nell’ambito dei finanziamenti comunitari, poi, il Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) ha stipulato 31 progetti che hanno coinvolto alcuni istituti di ricerca russi. Il più importante è Caspinfo, per il trasferimento di know-how ai paesi in via di sviluppo, con particolare riferimento al Mar Caspio. Collaborando con la Ras (Russian Academy of Science), il Consiglio nazionale delle ricerche ha stipulato 16 progetti, tra cui "Rome, Constantinople, Moscow: tradition and innovation in history and law”, che includeva il ciclo di seminari internazionali “Da Roma alla Terza Roma”, che si sono svolti tra Roma e Mosca. Nel campo dell’archeologia, infine, la Restoring Ancient Stabiae Foundation vanta l’unica forma di collaborazione tra i due paesi in campo archeologico: “Stiamo curando interventi di scavo e restauro presso il sito di villa Arianna nell'area dell'odierna Castellammare di Stabia, insieme a un gruppo di studiosi dell’Ermitage di San Pietroburgo - spiega l’archeologo Paolo Gardelli. L’ultimo scavo russo in Italia risaliva addirittura all’Ottocento”.
L'articolo è stato pubblicato sul numero di Rbth del 29 maggio 2014
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