“Be yourself!”, sii te stesso. Era questo il motto più diffuso nella Russia degli anni Novanta. Un motto che si rispecchiava nella moda di tutti i giorni (Foto: Itar Tass)
Mentre nel mondo lo slogan di questo periodo era il “be yourself”, in Russia il bisogno di autorealizzazione si trovò a fare i conti con i cambiamenti economici. Dalla Turchia e dal Sud-est asiatico provenivano nel paese ondate di merci di qualità non proprio elevata e neppure tanto eleganti. Per le appossionate di moda si fece strada la possibilità di vestirsi come volevano, e non come capitava. Coda di cavallo spettinata, t-shirt oversize con qualche stampa buffa e jeans scambiati (varenki): questo è il modello di ragazza più sobrio. Dopodiché venivano le varianti. Molto diffuse, ad esempio, erano le magliette dai colori acidi, il cui bordo inferiore veniva tagliuzzato per circa 10-15 cm in strisce verticali, ognuna delle quali era adornata da piccole clips di plastica colorata.
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T-shirt e taglie oversize da indossare |
A proposito, i varenki erano così chiamati non solo per la tinta, ma anche per l’impossibilità di comprarne un paio già pronto, per cui il geniale popolo russo cuoceva (dal verbo russo "varit") in casa dei semplici blue jeans. Un’alternativa ai jeans di grande tendenza erano i leggings elasticizzati, resi vivaci da colori improponibili: dalla tinta unica di turchese, rosa e verde neon, alla fantasia leopardata o “arcobaleno”. Per di più si abbinavano con qualunque cosa esistente: con un maglione ampio, con una giacca, sotto la minigonna, o ancora da soli con un top corto, a prescindere dalla forma fisica.
Le ragazze più mature erano attirate dagli audaci modelli alla Interdevochka (il popolare film sulle difficili sorti di una rappresentante del mestiere più antico del mondo).
Lo stile di strada si avvicinava piuttosto a quello da discoteca. Si indossavano minigonne con calze a rete, giacche colorate dalle spalle larghe e stivaletti col bordo di pelliccia.
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Negli armadi delle ragazze non potevano mancare jeans e leggings elasticizzati (Foto: Itar Tass) |
Tutti gli elementi avevano tinte luminose e moltissime stampe, decorazioni e strass, oltre a componenti in pelle, dai chiodi (giacche in pelle con zip diagonale) ai braccialetti.
Le signore vestivano più eleganti. Ma anche loro non potevano fare a meno, ad esempio, di acquistare i jeans di origine turca con strass e ricami. Più di tutto amavano i materiali sintetici luminosi e resistenti. Nei negozi (e non solo) capitava di sentire affermazioni entusiaste del tipo “Io adoro i capi sintetici! Al contatto col corpo sono piacevoli e calzano bene!”.
In URSS i produttori di capi di abbigliamento prediligevano i tessuti naturali, che, nonostante tutti i vantaggi, si sgualcivano di più, permettevano una limitata scelta cromatica e non sempre si adattavano perfettamente al corpo: insomma, procuravano più fastidi.
Un altro particolare interessante della moda di strada post-sovietica era la propensione verso abiti attillati. Molte donne, stanche di vedersi vietata la possibilità di essere sensuali, abbinavano, diciamo coraggiosamente, golfini stretch e jeans aderenti.
Una scena tratta dal film “Interdevochka” (Foto: ufficio stampa)
Questo dettaglio del guardaroba era amato da tutto il popolo. Molti nonne e nonni oggi indossano volentieri i jeans, sebbene fino agli anni Novanta era stata solo una prerogativa dei giovani. La generazione più anziana portava soprattutto vestiti, gonne e pantaloni classici.
I giovani, tra cui anche le ragazze, amavano i jeans, le t-shirt e i chiodi con le spalle larghe, indossavano tute e singoli elementi dell’abbigliamento sportivo. Di contro, il classico uomo di mezza età era dotato di jeans scuri o di pantaloni sportivi, scarpe classiche o sandali, a seconda della stagione, con calzini, camicia, gilet da “scout” con tanti taschini a toppa e con un’immancabile “borsetta” (una piccola borsa a mano per custodire e trasportare documenti e altre cosucce). Completava l’immagine una giacca di pelle o di montone.
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