Gioie e paure della dolce attesa

L’emozione di aspettare un figlio. Le differenze tra il parto in Russia e in Italia
Niva Mirakyan
(Archivio personale)

“Avrete un bambino!”, mi annunciò contento il dottore. Inutile dire che la mia felicità in quel momento non conobbe limiti. Sognavo davvero da tanto tempo di diventare mamma. Ma quando l’euforia passò e rientrai in me, sorse una domanda spontanea: dove partorirò?

Che delusione quando venni a sapere che in Italia non si usa pianificare i parti. Nonostante ci siano abbastanza ospedali buoni a Roma, non è possibile “riservarsi” un posto in anticipo. La futura mamma non può stipulare nessun contratto preliminare con gli ospedali, come per esempio accade in Russia. Senza considerare che c’è la chiara possibilità che nel momento cruciale l’ospedale possa non avere posti letto disponibili e la donna in travaglio venga semplicemente mandata in un altro posto.

A voler essere sincera, durante i nove mesi di “dolce attesa” ho passato molte notti insonni, immaginando chiaramente quando sarei stata accolta al “ricovero” con un rifiuto. “Quanto è crudele”, ho pensato tra me e me, chiedendomi stupita perché in Italia, un Paese tanto orgoglioso dei propri bambini, le mamme vengono trattate con così poco rispetto.


Foto: Shutterstock

Per le donne italiane con cui ho condiviso le mie paure non c’è niente di tanto spaventoso in questa “improvvisata”. Ho il sospetto che abbiano ereditato questo atteggiamento dal latte materno: non si può spiegare altrimenti. Vedendo il terrore nei miei occhi, le mie amiche mi hanno inondata di buoni consigli.

“L’unico modo per pianificare il parto in Italia è fare il taglio cesareo. Viene fissata una data precisa e via tutte le preoccupazioni! Oppure puoi anche pagare 10mila euro per una clinica privata, dove puoi partorire in qualsiasi momento e con qualsiasi modalità”, mi ha detto una conoscente esperta in materia, dopo avermi lanciato uno sguardo interrogativo.

Poi all’ospedale, vedendo il numero sconsiderato di donne che partoriscono con il cesareo, ho capito cosa intendesse. Ma nonostante la ovvia comodità, non faceva al caso mio.

A farmi cedere sono state poi le informazioni illuminanti che l’istruttrice ha dato durante i corsi di preparazione al parto: “Non potete andare in ospedale appena entrate in travaglio. Bisogna aspettare il momento giusto, altrimenti vi rispediscono a casa”. Inutile dire che sono rimasta paralizzata dal terrore. Non solo non posso accordarmi in anticipo con l’ospedale, ma devo anche aspettare un famigerato “momento giusto” che assolutamente nessuno è riuscito a spiegare quale fosse.

In alcuni anni vissuti a Roma, mi sono resa conto di una grande verità: per risolvere un problema nella “città eterna” sono necessari non solo tanti soldi, ma soprattutto buoni amici, che hanno i giusti contatti e, naturalmente, una simile esperienza di vita. Per fortuna ho incontrato tali persone nel momento in cui avevo quasi già perso la speranza. Una splendida donna, di nome Mimma, e sua nipote Valentina mi hanno ridato il sorriso. Mi hanno presentata a una dottoressa che lavora al Fatebenefratelli, l’ospedale che, nonostante tutto, avevo scelto con ostinazione. Proprio questa dottoressa mi ha insegnato le “paroline magiche” che mi avrebbero aiutata nel luogo da me selezionato per diventare mamma.

“Non mi portate da nessuna parte. Voglio rimanere sulla sedia a rotelle. Se c’è bisogno, aspetto pure nel corridoio!”. Queste le tre frasi che lei mi ha ripetuto a mo’ di incantesimo.

Quando arrivò il giorno più importante della mia vita, fortunatamente non mi toccò proferire queste parole sacramentali. Il mio piccolo è nato in tarda notte, quando non c’era quasi nessuno in ospedale, tranne me e i medici. Ci hanno dato persino una stanza da “raccomandati”, proprio quella su cui dominava una magnifica statua della Vergine Maria.

Chissà se in quella notte indimenticabile è stata proprio la madre più adorata della Terra ad aiutare me e il mio Dante!

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