La "trade union" dei lavoratori del sesso

La prostituzione in Russia è illegale. Ma secondo i dati ne sarebbero coinvolte quasi tre milioni di persone (Fonte: PhotoXPress)

La prostituzione in Russia è illegale. Ma secondo i dati ne sarebbero coinvolte quasi tre milioni di persone (Fonte: PhotoXPress)

Attivisti di San Pietroburgo contro il Ministero della Giustizia, che non ha riconosciuto l'associazione no profit per tutelare la prostituzione. E parte la polemica a suon di dati e analisi sociologiche

I numeri sono discordanti. C'è chi parla di un milione di persone coinvolte. Chi arriva a tre milioni. La prostituzione in Russia è illegale. Ma stando ai dati approssimativi della Rospotrebnadzor e del ministero della Sanità, nel settore lavorerebbero sino a un milione di individui. Secondo l’organizzazione Serebryanaya Roza (Rosa d’argento), un movimento che si occupa delle problematiche dei lavoratori del sesso, il numero di queste persone sarebbe invece assai più nutrito, e ammonterebbe a circa tre milioni. Al fine di tutelare i diritti di questi lavoratori, lo scorso maggio alcuni attivisti hanno tentato di far riconoscere ufficialmente un’organizzazione non-profit che li rappresentasse. Il ministero della Giustizia ha però opposto un rifiuto, e ciò ha spinto gli attivisti a passare alle vie legali.

“Serebryanaya Roza è sorta grazie a diverse iniziative benefiche e di volontariato che si occupano di problemi legati alla prostituzione”, afferma Irina Maslova, che dirige il movimento. In passato la donna lavorava per un’organizzazione benefica che operava in questo stesso settore, e che fu costretta a chiudere quando il progetto internazionale che ne finanziava le attività dovette chiudere a sua volta. Il desiderio di aiutare però le è rimasto. “Il nostro impegno ha prodotto ottimi risultati. Abbiamo lavorato con la prostituzione di strada a San Pietroburgo, Irkutsk e Chelyabinsk. A progetto ultimato, il ministero della Sanità avrebbe dovuto farsi carico dell’opera di intervento preventivo con le prostitute, ma non lo ha fatto. Allora, dopo un paio di incontri, abbiamo deciso di unire le nostre forze con quelle delle persone che intendiamo tutelare, e costituire un’associazione”, racconta Masova, aggiungendo che molti di coloro che per un motivo o per l’altro si trovano a lavorare nell’industria dei “servizi del sesso” hanno bisogno de loro aiuto. “I nostri clienti sono uomini, donne e transessuali di età variabile tra i diciotto e i settantadue anni; le loro situazioni reddituali e sociali variano moltissimo, così come le condizioni in cui lavorano. La nostra attività interessa anche i proprietari delle case chiuse, che fanno esaminare i loro dipendenti da medici con i quali collaboriamo”.

Secondo Maslova, in base al diritto alla privacy, sancito dalla Costituzione, la prostituzione potrebbe essere depennata dall’elenco dei commerci illeciti. Le persone, dice, dovrebbero poter disporre del proprio corpo. Il riconoscimento ufficiale dell’organizzazione non-profit è stato rifiutato per motivi formali, ha spiegato l’attivista a Rbth: “Siamo stati persino accusati di incitare all’odio etnico, e di essere degli estremisti. Secondo le autorità, inoltre, la nostra associazione non può essere riconosciuta in quanto la prostituzione non figura nella lista ufficiale delle attività lavorative. Eppure molte persone hanno bisogno di noi per risolvere i loro problemi - ad esempio, per proteggerle da agenti delle forze dell’ordine ingiusti e corrotti”.

Le norme

In Russia la prostituzione è considerata un reato di tipo amministrativo, punibile con un’ammenda pari a venti mensilità di paga sindacale minima. Chi esercita la prostituzione commette un reato grave, penalmente perseguibile e punibile con una condanna sino a otto anni di carcere. L’induzione alla prostituzione prevede invece una condanna sino a dieci anni di carcere. Infine, il Codice civile prevede un’ammenda (sino a duemilacinquecento rubli) per chi trae profitto dalla prostituzione di un altro individuo. 

Irina Maslova non ripone molta speranza nei parlamentari, che ritiene siano disposti a battersi quasi esclusivamente su temi facilmente condivisibili. Daria Miloslavskaya, presidente del consiglio dell’alleanza non-profit “Avvocati per una società civile”, nonché membro della Camera Pubblica di Russia, spiega che molte organizzazioni non-profit hanno difficoltà a farsi riconoscere ufficialmente. “Il ministero della Giustizia impone alcuni parametri, ma la legge non li precisa con chiarezza  e questo crea delle incomprensioni”, spiega l’avvocato. “Ai richiedenti viene spesso chiesto di omettere alcuni termini, o di aggiungere o sostituire qualcosa. E quando si compie un errore formale, le possibilità di far valere le proprie ragioni in tribunale sono minime. Se il ministero della Giustizia riconosce in parte i contenuti della richiesta, le probabilità di spuntarla sono maggiori. Dopotutto, le diverse suddivisioni territoriali del ministero della Giustizia potrebbero interpretare gli stessi parametri in modo diverso, così come i tribunali, che potrebbero prendere le parti del richiedente/plaintiff”.

L’avvocato Miloslavskaya si dice fiduciosa: in teoria, da un punto di vista formale l’associazione possiede tutti i requisiti per essere riconosciuta ufficialmente. Con ogni probabilità dovrà però riflettere seriamente sulla forma da dare alla propria organizzazione. “Credo che la scelta di definirsi un’“associazione” non sia appropriata. Un’associazione comprende solo coloro che intende rappresentare, e non prevede la presenza di attivisti o avvocati. In questo caso, si tratta piuttosto di un’organizzazione che fornisce assistenza e tutela ai lavoratori del sesso, e quindi richiede uno statuto e un’organizzazione interna adatti. Presentandosi con una forma diversa da quella che la situazione richiede si rischia di vedersi negare il riconoscimento da parte del ministero della Giustizia”, spiega l’avvocato.

Vitaly Milonov, membro dell’assemblea legislativa di San Pietroburgo, ha affermato nel corso di una conversazione con un corrispondente di Komsomolskaya Pravda che l’organizzazione non ha alcuna possibilità di essere riconosciuta e che i suoi organizzatori potrebbero essere accusati di reati penali o amministrativi, in quanto le autorità potrebbero scorgere nel loro operato l’ipotesi di induzione e coinvolgimento nella prostituzione. Quanto all’aspetto morale dell’organizzazione, gli esperti spesso concordano con le finalità di Serebryanaya Roza, e in particolare con la necessità di sottrarre la prostituzione dall’influenza della criminalità. “Credo che la prostituzione vada in parte legalizzata. Nessun Paese al mondo ha legalizzato del tutto questo settore, ovunque si prevedono limitazioni”, afferma Mark Levin, direttore del dipartimento di analisi microeconomica della Scuola superiore di economia.

Lo psichiatra criminale Mikhail Vinogradov, direttore del Centro per l’assistenza legale e psicologica nelle situazioni di emergenza, è d’accordo con lui. Vinogradov ritiene, inoltre, che il numero di persone coinvolte nella prostituzione superi i tre milioni, e che queste dovrebbero pagare le tasse. “In molti Paesi l’industria del sesso è considerata un’attività legale, e produce un significativo gettito fiscale per le casse dello Stato. Come ogni settore ha un suo lato oscuro, ma non è che un dettaglio. Inoltre la legalizzazione, oltre a produrre vantaggi di natura economica, potrebbe risolvere anche dei problemi relativi alla salute. Vi sono infatti donne che a causa di gravi scompensi mentali e ormonali devono avere più rapporti sessuali di quanti riescano ad averne in famiglia”, spiega lo psichiatra, aggiungendo che l’industria del sesso è presente in ogni società. Associazioni professionali come quella voluta dagli attivisti di San Pietroburgo esistono in Germania, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Francia, in Australia e in Brasile.

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