Tra i protagonisti della corsa allo spazio

Georgy Grechko, oggi 80enne, testimone della conquista sovietica dello spazio (Foto: Photoshot / Vostock-Photo)

Georgy Grechko, oggi 80enne, testimone della conquista sovietica dello spazio (Foto: Photoshot / Vostock-Photo)

Intervista al cosmonauta Georgy Grechko, che visse in prima linea gli eventi del 1961 ed è stato insignito due volte del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica

Il 12 aprile di ogni anno la Russia celebra la Giornata della Cosmonautica. Era il 1961, l’epoca in cui Urss e Usa si contendevano la conquista dei cieli, quando Yuri Gagarin divenne il primo uomo nello spazio. Abbiamo incontrato il cosmonauta Georgy Grechko, che visse da protagonista quegli eventi, ed è stato insignito due volte del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.  

È d’accordo con la definizione secondo la quale la corsa per la conquista spazio fu la trasposizione in cielo della Guerra Fredda?
Non so quale fosse il sentimento dei politici a questo riguardo, ma noi cosmonauti, e coloro che seguivano l’aspetto tecnico dei programmi spaziali, non consideravamo gli americani come dei nemici. Li trattavamo da colleghi; condividevamo con loro la medesima causa, correvamo gli stessi rischi, e collaboravamo insieme a dei progetti comuni, come quello del Soyuz-Apollo. Non ci affidavamo ai politici, ma alla nostra comune professionalità. La politica era l’ultima delle preoccupazioni.  

In campo spaziale l’Unione Sovietica mise a segno dei successi enormi. Deteneva il primato quasi in ogni settore: il primo satellite, l’invio di cani, il volo di Gagarin, la prima passeggiata spaziale, il docking delle navette, le foto del lato oscuro della Luna… Eppure, malgrado l’Urss fosse stata la prima a raggiungere l’orbita lunare, furono gli Stati Uniti a portare per la prima volta un uomo sulla luna. Com’è potuto accadere?
Consultando il dizionario filosofico sovietico di quegli anni, scoprirà che la cibernetica era considerata una “pseudoscienza”. Coloro che studiavano cibernetica in questo Paese erano considerati nemici ideologici e in quanto tali venivano incarcerati. Tuttavia, affinché si potesse controllare una navetta spaziale era necessario compiere progressi nel campo della cibernetica. Una volta vidi su un ripiano alcuni strumenti. In parte erano nostri e in parte americani. Se uno dei nostri era grande quanto un pungo, il corrispondente americano aveva le dimensioni di un ditale. La nostra navetta lunare non era in grado di contenere tutta l’attrezzatura necessaria. Secondo una barzelletta che circolava a quei tempi, noi producevamo le più grandi calcolatrici tascabili del mondo. Nella corsa alla Luna abbiamo perso tempo: quando gli americani erano in grado di portare degli astronauti sulla Luna, noi potevamo solo volarle attorno e far rientro sulla Terra. I politici cancellarono quel volo, ritenendo che dal momento che gli americani erano già sbarcati sulla Luna il progetto non avesse più alcun senso. Tuttavia, tutti coloro che vi avevano preso parte erano convinti che occorresse portarlo avanti, per trarne qualche insegnamento e collaudare nuove tecnologie.

Che ripercussioni ha avuto sulla nostra industria spaziale la scomparsa del primo progettista Sergei Korolev?
Sergei era un uomo capace di mettere tutti d’accordo. Possedeva un’autorevolezza tale da indurre tutti i maggiori progettisti, che pure erano consapevoli del proprio valore individuale, a lavorare praticamente come un solo uomo, formando un’unica squadra nella quale le loro competenze non si sommavano, ma si moltiplicavano. Sotto la sua guida, i progettisti lavorarono con autentico spirito di associazione.

Dopo essersi insediato alla Casa Bianca, il presidente Kennedy propose a Krusciov di procedere insieme all’esplorazione dello spazio. Fece bene l’Unione Sovietica a rifiutare quell’invito?
Se all’epoca le potenzialità dei nostri Paesi fossero state quasi analoghe, forse avremmo accettato. A quei tempi però eravamo in deciso vantaggio rispetto agli Stati Uniti e Krusciov non voleva metterli a parte delle nostre conquiste. In seguito gli Usa ci superarono, e a quel punto furono loro a rifiutarsi di cooperare. In generale, però, credo che i progetti spaziali debbano essere portati avanti insieme, e che il volo su Marte, quando avverrà, dovrà essere frutto di una cooperazione internazionale.

Il progetto Soyuz-Apollo rappresentò dunque una svolta nei rapporti tra i due Paesi?
Assolutamente sì. E non stabilì una svolta solo in campo spaziale, ma segnò un’importantissima pietra miliare nei rapporti tra i due Paesi. I leader e la gente comune dicevano che se eravamo capaci di cooperare nello spazio, avremmo dovuto cooperare anche sulla Terra. Fu un volo importantissimo, che cambiò il modo di pensare della gente, cosa assai più difficile da cambiare rispetto al design di un razzo.

La nostra industria spaziale oggi non se la passa molto bene…
Le riforme di mercato, che io chiamo riforme da bazar, hanno praticamente rovinato l’industria spaziale. Non portano dei guadagni rapidi. Gli uomini di un tempo, che possedevano un’esperienza colossale, sono stati allontanati e al loro posto sono stati assunti dei giovani specialisti, che dopo essere partiti da zero stanno raggiungendo solo adesso i livelli di esperienza che noi avevamo negli anni Cinquanta e Sessanta. I migliori indicatori di oggi sono paragonabili a quelli dei nostri momenti peggiori. Tra dieci o quindici anni forse otterremo dei risultati decenti, ma chissà a che punto saranno allora i nostri rivali.

In occasione della Giornata della Cosmonautica, Vladimir Putin si è soffermato sull’esigenza di rilanciare l’industria spaziale, promettendo di destinarvi fondi ingenti. Crede che funzionerà?
Ho ottant’anni e so per esperienza che i leader raccontano sempre le stesse cose. Korolev ci raccontava che dopo il lancio del primo satellite fu convocato da Krusciov che gli disse: “Hai un mese di tempo per inventarti qualcosa di nuovo”. Sergei Korolev rispose che non dipendeva tutto da lui e dalla sua squadra, spiegando che i ministri del governo coinvolti in quel processo avrebbero potuto rallentarne i ritmi. Krusciov allora replicò: “Le assegnerò un ufficio nel Cremlino, ci siederemo e impartirò istruzioni a tutti. E faranno bene a darmi ascolto”. Ma qual è oggi la situazione? Popovkin, dell’Agenzia spaziale russa, può forse dare ordini ai ministri del governo, agli oligarchi, e via dicendo? Un tempo l’industria spaziale faceva da traino a molti altri settori. Sapete, disponevamo di operai unici, capaci, per così dire, di lavorare il metallo con la lingua. Anche i nostri tecnici erano fantastici, e non avevano bisogno che gli ingegneri mostrassero loro dei progetti: riuscivano a lavorare basandosi sugli schizzi. Inoltre, avevamo degli scienziati geniali. Oggi i grandi specialisti non ricevono il trattamento che meritano, mentre là (alla Nasa, ndr) vengono accolti a braccia aperte. Quindi, malgrado oggi si facciano tanti bei discorsi, non è possibile dar loro seguito immediato con delle azioni.

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