In Russia è stato inventato il miglior modo per coltivare piante nello Spazio

Roskosmos
In vista delle esplorazioni spaziali di lunga durata è sempre più importante poter far crescere verdure direttamente sulle navicelle spaziali. Ora il sogno è vicino alla realtà, grazie a una nuova serra, che si basa su un’intuizione antica

Come far crescere qualche pianta nello Spazio, in assenza di gravità, campo elettromagnetico terrestre e luce solare? Per più di cinquant’anni, scienziati di diversi Paesi si sono arrovellati con questo dilemma. Alcuni esperimenti si sono conclusi con successo, altri sono falliti. Ma per la prima volta è diventato possibile coltivare con continuità grandi quantità di vegetazione contemporaneamente.

È tutta una questione di tubi

Vitamìnnaja kosmìcheskaja oranzheréja”, ossia “Serra spaziale vitaminica”. Questo è il nome di “Vitatsikl-T”, una struttura di tubi di titanio, che permette di coltivare ortaggi in un formato a nastro trasportatore a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). È stata sviluppata dopo che la Russia ha perso la propria serra “Lada” nel 2015, visto che la sua versione modificata non è mai arrivata in orbita, schiantandosi insieme alla navicella cargo Progress

La serra è un sistema rotante di sei moduli. Innanzitutto, viene seminato un modulo, dopo quattro giorni, il successivo e così via. Dopo 24 giorni, il raccolto matura nel primo dei moduli, viene tagliato e vengono piantati nuovi semi. Tutte le operazioni continuano in modo ciclico, e il ciclo di crescita dura dai 44 ai 66 giorni e finora questa serra, grazie al suo particolare design, produce più verdure di tutte le altre serre di altri Paesi.

Un altro know-how importante è il sistema di tubi porosi in titanio che penetrano nel suolo artificiale e sono responsabili dell’approvvigionamento idrico.

“Non puoi semplicemente innaffiare le piante nello spazio: il getto si trasformerà in gocce che si disperderanno in diverse direzioni. Mentre se l’acqua viene fornita attraverso la struttura capillare, l’acqua filtrerà lentamente attraverso i pori e raggiungerà le radici delle piante”, afferma Maksim Sheverdjaev, capo del dipartimento di materiali e tecnologie speciali non nucleari presso il Vniimn, l’Istituto di ricerca high-tech sui materiali inorganici.

Quando manca umidità nel sostituto del suolo, il vuoto inizia a crescere nel sistema, misurato dai sensori di pressione. Quando il terreno diventa troppo secco, il valore raggiunge un picco, il computer lo segnala al sistema e l’acqua inizia a scorrere.

Finora, hanno in programma di coltivare solo lattuga: questo è solo un modo per diversificare la dieta degli astronauti. Ma si ritiene che l’idea di una serra spaziale dovrebbe diventare particolarmente rilevante quando sarà necessario un ecosistema autonomo chiuso con acqua, cibo e ossigeno per i voli a lunga distanza e la colonizzazione extraterrestre.

Un orto nello spazio?

In effetti, i cosmonauti russi sono già riusciti a coltivare molte piante in orbita. I primi chicchi di grano arrivarono nello spazio con il secondo Sputnik, nel 1960, insieme ai cani Belka e Strelka. In che modo la microgravità influisce sui semi? È sicuro mangiare un raccolto “spaziale”? Il Dna vegetale si trasforma in condizioni extraterrestri? Tutti questi esperimenti miravano a trovare le risposte che avrebbero reso possibile un sistema così autonomo.

È vero, la coltivazione delle piante avviene in serre molto compatte: ce ne sono nel segmento americano dell’ISS e (fino a poco tempo fa) in quello russo. Cioè, finora non si è mai parlato di un “orto” su larga scala.

“In assenza di gravità, le piante possono crescere in due modi. O si aggrappano a una superficie e si arricciano lungo di essa, o si piegano in direzione della luce; tutto dipende dal tipo, spiega il cosmonauta Sergej Prokopjev. Le piante sono generalmente coltivate con il metodo idroponico. Il seme viene posto in contenitori con un substrato artificiale fissato su una superficie orizzontale e vengono create le condizioni per il flusso d’aria attraverso la capsula o la serra”.

L’acqua o il fluido nutritivo viene solitamente erogato automaticamente, sebbene alcuni astronauti lo facciano ancora manualmente, con una siringa e un tubo direttamente nel substrato. Ma il percorso verso questa tecnologia è stato spinoso.

Nel 1974, sulla stazione orbitale Saljut-4 c’era la serra idroponica “Oazis” e il cosmonauta Georgij Grechko cercò di coltivarvi piselli. Non c’era terra, i piselli dovevano crescere in una garza inzuppata. Subito dopo l’inizio dei lavori, enormi gocce d’acqua iniziarono a “fluire” dalla serra, e Grechko fu costretto a inseguirle con dei tovaglioli alla mano mentre fluttuavano per la stazione. Quindi tagliò il tubo e iniziò ad annaffiare i piselli a mano.

Tuttavia, questo non fu l’unico problema. Nel suo libro “Kosmonavt №34” (ossia: “Cosmonauta numero 34”), ha ammesso che, visto che non gli piaceva la biologia a scuola ed era ignorante in materia, ha quasi rovinato l’intero esperimento, pensando che i germogli si fossero aggrovigliati nel tessuto, crescendo in modo errato, e liberandoli dalla garza. Questo, ovviamente, non aiutò, perché si è scoperto che aveva confuso le radici con gli steli.

Nonostante ciò, l’esperimento si concluse con un successo. I piselli portarono a termine l’intero ciclo, dal seme allo stelo adulto. Ma su 36 solo 3 nacquero e crebbero, perché? Gli scienziati ipotizzarono che la materia fosse in un orientamento geneticamente intrinseco rispetto al globo, il geotropismo: non con il germoglio ma con la radice che va verso la luce; nella direzione opposta al normale.

La Terra simulata

Dopo aver preso in considerazione questo fattore, la serra venne migliorata, nuovi semi furono consegnati in orbita e quasi tutti germogliarono. Ma le piante si rifiutarono di fiorire. Così avvenne anche con le orchidee già fiorite, portate nello Spazio nel 1980. Dopo alcuni giorni in orbita, i fiori caddero, anche se nuove foglie continuarono a crescere, così come le radici aeree. Poi apparve la teoria che il campo magnetico terrestre avesse un’influenza critica.

Come risolvere questo problema era stato descritto dal fondatore della cosmonautica Konstantin Tsiolkovskij (1857-1935) nei suoi scritti molti decenni prima. Ideò un piano per creare gravità artificiale e per far crescere le piante in una centrifuga. Insomma, c’era una soluzione pratica a questo problema già nel 1933. In effetti, la centrifuga ha aiutato: i germogli erano ora orientati lungo il vettore della forza centrifuga. Durante questo esperimento, delle Arabidopsis fiorirono in orbita.

Successivamente, i cosmonauti hanno portato nello Spazio molti semi, coltivando con successo cipolle, grano, lattuga, cavoli e altro, persino nello Spazio aperto. Nel 2007-2008 è stato condotto l’esperimento “Biorisk”, durante il quale semi di senape, riso, pomodoro, ravanello, orzo, arabidopsis e nicandra sono stati coltivati per 13 mesi in un contenitore sulla superficie esterna della Stazione spaziale internazionale. Solo i semi di pomodoro non hanno resistito, mentre tutti gli altri hanno mantenuto la capacità di germinare.

Il consumo di piante cresciute in orbita è permesso dagli anni Ottanta: allora gli scienziati sulla Terra hanno esaminato il raccolto spaziale e si sono accertati che fosse del tutto sicuro per l’alimentazione umana.


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