Ai nostri giorni le donne scienziato sono cosa comune e non stupiscono nessuno. Quest’anno, per esempio, il prestigioso Premio Abel per la Matematica è stato vinto (per la prima volta) proprio da una donna, Karen Uhlenbeck. Ma non è sempre stato così.
In Russia, i primi corsi universitari aperti alle donne sono apparsi più o meno in contemporanea all’Europa occidentale, negli anni Settanta dell’Ottocento, ma il diritto pieno delle donne all’istruzione universitaria, alla pari degli uomini, è stata una conquista del dopo Rivoluzione; degli anni Venti del Novecento. Nonostante ciò, scienziate come Zinaida Ermoljeva, Sofja Kovalevskaja, Lina Stern, Olga Ladyzhenskaja e Fatima Butaeva dimostrano come, persino nei tempi più difficili, l’interesse delle donne per la scienza trovava il modo di essere messo a frutto.
Una delle fondatrici della microbiologia russa, Zinaida Vissarionova Ermoljeva (1898-1974) scelse la sua professione non per caso. Nel 1915 decise che sarebbe diventata medico, dopo aver appreso che il suo compositore preferito, Pjotr Chajkovskij, era morto di colera. Prese così la risoluzione di dedicarsi alla lotta contro questa malattia ed entrò all’Università Statale del Don (di Rostov sul Don), presso la quale si sarebbe laureata nel 1921.
In occasione dell’epidemia di colera del 1922, Zinaida per poco non morì in conseguenza di un esperimento condotto su se stessa: per studiare come si propagava il contagio, bevve di proposito acqua che pensava potesse essere contaminata dal vibrione. Grazie al suo gesto coraggioso, furono introdotte le norme ancora oggi in uso sull’uso di cloro per depurare l’acqua.
Nel 1939, fu mandata in Afghanistan, dove inventò il metodo di diagnostica espressa del colera e un preparato efficace anche contro il tifo addominale e la difterite. E durante la Seconda guerra mondiale, Zinaida fu in grado di scongiurare l’espandersi di un’epidemia di colera nella zona di Stalingrado. La malattia iniziò a diffondersi tra i militari tedeschi e metteva a rischio anche la popolazione della città sotto attacco e i soldati sovietici, ma grazie alla Ermoljeva venne avviata la produzione di un batteriofago, furono messe in atto vaccinazioni di massa e i pozzi vennero trattati con il cloro; misure che aiutarono a bloccare l’epidemia.
Uno dei più grandi meriti della microbiologa fu poi la produzione del primo antibiotico sovietico, il “krustozin”, un analogo della penicillina. Il padre di quest’ultima, Howard Walter Florey, si recò in Urss con una delegazione, nel 1944, proprio per comparare i due preparati. Il risultato dello studio stabilì che il krustozin non solo non era peggiore, ma persino più efficace. Uno stupito Florey dette alla Ermoljeva il soprannome di “Lady Penicillina”.
Prima professoressa al mondo e prima matematica di Russia, Sofja Vasiljevna Kovalevskaja (1850-1891) fece conoscenza con i numeri da piccolissima. La leggenda vuole che a causa della penuria di carta da parati, i muri della sua cameretta fossero ricoperti con pagine delle Lezioni di matematica di Mikhail Ostrovskij e di differenziali e integrali. A casa studiò con un precettore domestico ma poi, per poter frequentare l’università, fu costretta ad andare all’estero. A quel tempo, infatti, l’accesso agli atenei russi era ancora precluso alle donne, e così Sofja organizzò un matrimonio di comodo e se ne andò con lo sposo, anche lui un giovane uomo di scienza, in Germania. Là, seguì le lezioni inizialmente all’Università di Heidelberg e poi a quella di Berlino, e nel 1874 ottenne il titolo di Philosophia Doctor all’Università di Gottinga.
Dopo il suicidio del marito nel 1883, Sofja insieme alla figlia si trasferì a Berlino e ottenne poi una cattedra come professoressa di matematica all’Università di Stoccolma, dove teneva le lezioni, e stampò persino alcuni lavori, in svedese. Nel 1888 la prima donna con il titolo di professore scrisse “Problema della rotazione di un corpo rigido intorno a un asse fisso”, studio con il quale scoprì il terzo metodo classico di risoluzione di questo problema, portando avanti il lavoro iniziato da Eulero e da Joseph-Louis Lagrange.
Primogenita di una numerosa famiglia ebraica, Lina Solomonovna Stern (1878-1968) nacque nel Governatorato di Curlandia dell’Impero Russo (l’attuale Lettonia). Fu la prima donna a diventare professoressa all’Università di Ginevra, dove aveva studiato, e in seguito fu la prima a ottenere il titolo di Accademico dell’Urss, dopo essere rientrata in patria nel 1925, avendo ricevuto l’invito a ricoprire la cattedra di fisiologia alla Seconda Università Statale di Mosca (dal 1930, Secondo Istituto di Medicina di Mosca).
Incredibilmente energica e capace, Lina dal 1925 al gennaio del 1949 fu a capo del dipartimento di Fisiologia e in contemporanea (dal 1929 al 1948) direttrice dell’Istituto di Fisiologia del Commissariato del popolo per l’istruzione della RSFS Russa (in seguito, Accademia delle scienze dell’Urss). Nel 1932 la Stern fu scelta anche come membro dell’Accademia Germanica di Scienze naturali e dal 1939 fu accademica dell’Accademia delle Scienze dell’Urss. Le principali direzioni del suo lavoro di ricerca andarono verso lo studio delle basi chimico-fisiche dei processi fisiologici che avvengono nel corpo dell’uomo e di altri animali. Proprio lei introdusse il concetto di “Barriera emato-encefalica”; il meccanismo che regola selettivamente lo scambio di sostanze tra il sangue e il sistema nervoso centrale e che svolge la funzione di difesa dell’organismo.
Sotto la sua guida, fu elaborato il metodo a elettroimpulsi per interrompere le fibrillazioni dei ventricoli cardiaci e venne ideato il primo macchinario per l’elettroterapia del cuore. Grazie a lei fu messa a punto la metodica per curare lo choc traumatico, largamente utilizzata negli ospedali militari nel corso della Seconda guerra mondiale. Mentre nel 1947 la Stern propose un efficace metodo di cura della meningite tubercolare, tramite iniezione di streptomicina nel liquido cerebrospinale, direttamente attraverso il cranio.
La scienza le salvò anche la vita: nel 1949 venne arrestata nell’ambito del caso del Comitato ebraico antifascista, e fu l’unica a scampare alla fucilazione, dopo aver detto alla giuria di non voler morire perché non aveva ancora dato alla scienza quanto poteva. In ogni caso, gli anni successivi, fino al 1953 li passò in esilio in Kazakistan, e solo dopo la morte di Stalin poté tornare a Mosca, dove fu a capo del dipartimento di Fisiologia dell’Istituto di Biofisica teorica e sperimentale dell’Accademia russa delle scienze.
Eccezionale matematica del XX secolo, Olga Aleksandrovna Ladyzhenskaya (1922-2004) era nata nella piccola città di Kologriva, nella regione di Kostromà. Suo padre, Aleksander Ivanovich, insegnante di matematica ed ex ufficiale dell’esercito zarista, inculcò presto nella figlia l’amore per la materia (già a 10 anni poteva con facilità risolvere problemi di alta matematica), ma la strada per la scienza non fu facile. Nel 1937, suo padre fu arrestato e fucilato, e lo stigma di “figlia del nemico del popolo” impedì a Olga di entrare nel dipartimento di matematica e meccanica dell’Università di Leningrado.
Solo nel 1943 poté iscriversi alla Facoltà di Meccanica e Matematica dell’Università Statale di Mosca e nel 1947 alla scuola di specializzazione dell’Università Statale di Leningrado, dove successivamente ottenne il titolo di dottore in scienze fisiche e matematiche e divenne professoressa nel dipartimento di Alta matematica e Fisica matematica presso il dipartimento di Fisica dell’Università Statale di Leningrado. Conosciuta per il suo rigore, la sua mente curiosa e la sua franchezza, Ladyzhenskaya è stata autrice di oltre 200 articoli che coprono una vasta gamma di problemi e questioni dalla teoria delle equazioni alle derivate parziali. Ad esempio, il suo lavoro sulla teoria dell’idrodinamica è d’aiuto negli sviluppi relativi ai movimenti delle navi, dei siluri, del sangue nei vasi sanguigni e dei liquidi nelle pompe.
Proprio come suo padre, anche Olga era una persona versatile e amava non solo la scienza, ma anche la pittura, la poesia e la musica. Tra i suoi amici c’erano molti esponenti della cultura: era amica di Anna Akhmatova ed era tra i pochi eletti ai quali la poetessa affidava le sue poesie durante gli anni della repressione. Olga è anche uno dei 257 “Testimoni dell’Arcipelago”, le cui storie, lettere, memorie e appunti furono usati da Aleksandr Solzhenitsyn in “Arcipelago Gulag”
Originaria di una piccola città dell’Ossezia, dove in pochi sapevano leggere e scrivere, Fatima Aslanbekovna Butaeva (1907-1992) iniziò la sua carriera come insegnante di matematica a Kujbyshev (oggi, Samara), subito dopo la laurea alla Seconda Università Statale di Mosca nel 1932. Fatima tornò a Mosca in quello stesso anno e per due anni lavorò come insegnante di Meccanica teorica nella scuola tecnica del Complesso di formazione del Metrostroj. Nel 1934, andò a lavorare presso l’Istituto Elettrotecnico di tutta l’Unione, nel laboratorio di sorgenti luminose, prima come ingegnere e poi come capo del dipartimento.
Grazia alle sue opere, Fatima divenne in seguito nota come coautrice dell’invenzione delle prime lampade fluorescenti, per le quali nel 1951 ottenne il Premio Stalin di secondo livello. Nello stesso anno, Butaeva, insieme ai colleghi, presentò un brevetto per l’invenzione di un nuovo principio di amplificazione della luce, che è ora utilizzato in tutti i laser. Questa invenzione era in anticipo sui tempi e solo otto anni più tardi ricevette il riconoscimento ed entrò nel registro statale delle scoperte scientifiche dell’Urss.
Tre russe che hanno vinto la loro battaglia per svolgere lavori ancora oggi vietati alle donne
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