Perché l’Unione Sovietica portò cosmonauti di altri Paesi in orbita?

Aleksandr Mokletsov/Sputnik
Fu per una questione eminentemente politica che l’Urss decise di inserire nella corsa allo spazio uomini provenienti dagli Stati socialisti fratelli. Il primo fu un cecoslovacco nel 1978, l’ultimo, dieci anni dopo, un afgano

Dopo che Jurij Gagarin (il 12 aprile 1961) e John Glenn (il 20 febbraio 1962) furono lanciati nello spazio, le due superpotenze mondiali trasformarono lo spazio nel loro feudo personale. Per quasi 15 anni, solo astronauti americani e cosmonauti sovietici partirono dalla Terra.

Tuttavia, a metà degli anni Settanta, la situazione cominciò a cambiare. Washington annunciò che avrebbe presto incluso il primo non americano in una missione spaziale. Quando in Urss appresero la notizia, la leadership comunista era così determinata a non essere superata in niente dai capitalisti, che si affrettò a mandare nello spazio dei rappresentanti dei “Paesi socialisti fratelli”, prima che l’America riuscisse a spedire uno straniero in orbita.

Gli alleati socialisti nello spazio

È così che nacque il programma Intercosmos. Oltre alla ricerca scientifica congiunta, il suo obiettivo principale era quello di includere i rappresentanti dei Paesi amici nelle squadre spaziali sovietiche come “ricercatori cosmonauti”, per coinvolgere altre nazioni nell’esplorazione spaziale. Tuttavia, questo fece sorgere la domanda: a quale nazione dovrebbe essere conferito l’onore di essere la prima di cui sarà portato un uomo nello spazio?

La scelta dei candidati fu guidata principalmente dalla politica. La priorità venne data ai rappresentanti degli alleati importanti dell’Urss nel Patto di Varsavia: la Repubblica Democratica Tedesca, la Cecoslovacchia e la Polonia.

“Un cittadino vietnamita non può andare in orbita per primo se un tedesco orientale non è ancora arrivato nello spazio. Chi ha più influenza ha il diritto di essere il primo a inviare il suo cosmonauta”, spiegò il tenente generale del Kgb Nikolaj Leonov.

Alla fine, fu scelto un cecoslovacco per migliorare i rapporti tra la popolazione del Paese satellite e l’Unione Sovietica, che si erano incrinati dopo la Primavera di Praga del 1968 e l’intervento sovietico. Dieci anni dopo quegli eventi, nel 1978, Vladimír Remek, il primo cosmonauta a non rappresentare una delle due superpotenze, andò nello spazio insieme ai colleghi sovietici a bordo della nave spaziale Soyuz-28.

“Quando ho capito che sarei diventato il primo cosmonauta non statunitense o sovietico ad andare nello spazio ho cercato di prepararmi al meglio che potevo… Dopo essere tornato dallo spazio, sono diventato subito una celebrità in Cecoslovacchia: era impossibile camminare per strada senza essere riconosciuto”, ricorda Remek.

Seguendo le orme di Remek, altri due cosmonauti del blocco orientale andarono nello spazio nello stesso anno: il polacco Mirosław Hermaszewski e il tedesco orientale Sigmund Jähn. Altri alleati hanno poi seguito l’esempio: Romania, Ungheria e Bulgaria, e in seguito anche Vietnam, India, Cuba, Mongolia, Siria e persino Afghanistan, che all’epoca (1988) era in uno stato di guerra civile, hanno inviato cosmonauti nello spazio come parte degli equipaggi sovietici.

“C’era una componente morale e politica: era necessario aumentare il morale del Vietnam dopo la guerra con l’America. Così anche con i nostri amici i mongoli, che ci sono stati fedeli per 100 anni”, afferma l’esperto di esplorazione spaziale con equipaggio Aleksandr Glushko.

Non solo alleati

L’unico rappresentante di un Paese occidentale a unirsi a una missione spaziale su una navicella sovietica fu il pilota militare francese Jean-Loup Chrétien. L’Unione Sovietica, che all’epoca aveva buoni rapporti con la Francia, diede il via libera a un rappresentante del mondo capitalista.

Chrétien ha fatto irruzione nello spazio su una nave spaziale sovietica due volte – nel 1982 e nel 1988 – e gli è stato persino assegnato il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica. “Mi sono sentito incredibilmente orgoglioso. Prima di me, questo premio era stato conferito solo a una manciata di cittadini francesi che avevano combattuto nel Reggimento di aviazione Normandie-Niémen”, ha detto Chrétien.

Il cosmonauta francese ha bei ricordi del suo lavoro con i colleghi sovietici nel Centro di addestramento per cosmonauti di Zvjozdnyj Gorodok, la Città delle Stelle alle porte di Mosca: “Ci siamo trovati in una vera famiglia con un’atmosfera di fratellanza… Ho lasciato metà del mio cuore lì. Sento nostalgia e spesso torno con la mente alla Russia, ai miei amici”.

Il programma Intercosmos (qui l’elenco completo dei voli) si è concluso nel 1991, al momento del crollo dell’Urss. Ha permesso a 13 Paesi “non spaziali” di unirsi all’esplorazione del cosmo e di inviare i loro cosmonauti in missione. Per la maggior parte di quei Paesi, quelle missioni spaziali rimangono ancora le uniche nella loro storia.

Con la fine della Guerra Fredda, la componente politica nella corsa allo spazio è scesa in secondo piano. Dall’inizio degli anni Novanta, molti cosmonauti provenienti dai Paesi occidentali, tra cui anche italiani, hanno fatto parte di equipaggi misti su voli di veicoli spaziali russi.

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