Palazzetto dello Sport di Varese, 27 gennaio 1977, Gomelskij con la squadra del CSKA Mosca (Fonte: Wikipedia)
Il padre del basket in Unione Sovietica. L'eroe che dalla panchina portava i sovietici prima a battere gli imbattibili americani con stelle dalla Nba, poi la Jugoslavia della leggenda Drazen Petrovic, nel 1988, Olimpiadi di Seul. Se oggi ci sono tanti cestisti russi in giro per l'Europa o che hanno avuto successo tra i professionisti americani, una fetta di merito spetta ad Aleksandr Gomelskij, il colonnello. Ventidue anni alla guida del Cska Mosca, con sedici titoli nazionali, qualche Coppa dei Campioni. Dal 1995 entrava a far parte della Hall of Fame di Springfield, al pari del grande rivale jugoslavo Asa Nikolic e del giocatore-simbolo delle sue squadre, l'altro mito, Sergej Belov. Per Gomelskij anche otto successi agli Europei, due ai Mondiali e la medaglia d'oro ai Giochi sudcoreani. Insomma, un palmares senza precedenti.
Senza contare che avrebbe allenato l'Urss che boicottava, per volere governativo in risposta all'assenza degli Stati Uniti nel 1980 a Mosca, le Olimpiadi a Los Angeles nel 1984. E la sua Nazionale non sarebbe finita tanto lontano dal podio. Mentre nel 1972, alle Olimpiadi del terrore di Monaco di Baviera, si vedeva revocato il visto d'espatrio dal Kgb: Gomelskij era ebreo, si temeva la sua fuga, la panchina andava a qualcun altro,Vladimir Kondrashin. Il successo, 51-50 nella controversa e ancora discussa finale tra Unione Sovietica e Stati Uniti restava il momento più bello di pallacanestro che a Est avessero mai vissuto. Per lui, il più doloroso, in una carriera iniziata nel 1945. I sovietici occupavano Varsavia, qualche giorno più tardi, liberavano Auschwitz. Gomelskij aveva 17 anni e un grande amore per il basket con il quale si era distinto al liceo numero 79 di Leningrado.
Tre anni più tardi debuttò sulla panchina del Ska Leningrado, uno dei momenti più alti in panca: un gruppetto di reduci del conflitto mondiale che nella sua Leningrado martoriata dai nazisti riusciva a diventare una squadra mettendo in dubbio il dominio sportivo delle squadre della capitale, dalle quali lo stesso Colonnello fu poi prelevato nel 1966, diventandone simbolo. Con un passaggio significativo anche contro l'Ignis Varese, la valanga gialla guidata tra fine anni Sessanta – inizio Settanta dal suo più fiero avversario, lo slavo Asa Nikolic. Con gli atleti sovietici che vendevano macchine fotografiche, caviale, icone, agli avversari fuori dal parquet per arrotondare lo stipendio.
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