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Credit: Niyaz Karim |
Forse è colpa di una innata disorganizzazione. O della paura di risultare scortesi. Sta di fatto che il “non saper dir di no” si traduce molte volte in una sovrapposizione di impegni che comportano rinunce forzate e “bidoni” che si potrebbero evitare.
Troppe volte, infatti, mi ritrovo ad accettare con entusiasmo inviti che si rivelano poi impossibili da mantenere perché avevo già dato parola ad altri, per lo stesso giorno, alla stessa ora. Una disorganizzazione che non si limita solo alla sfera sociale, ma si riflette sul lavoro, nei rapporti con gli amici e addirittura con gli sconosciuti.
La metropolitana di Mosca (Foto: Eva Canta)
Dei russi invece apprezzo il loro saper dire di no: rifiutano senza troppo imbarazzo impegni che non possono mantenere e inviti che non vogliono accettare. Lo fanno in maniera decisa ma elegante, senza lasciare spazio a fraintendimenti. E se pensano di poter ferire l’interlocutore, attutiscono il rifiuto con un “mi dispiace, ma non voglio promettere ciò che rischio di non poter mantenere”.
Le prime volte ci restavo male. Questi “no”, pronunciati senza mezze misure, erano per me motivo di dispiacere. Poi, con il tempo, ho imparato ad apprezzare questa consapevolezza - tutta russa - del sapere cosa si vuole e cosa invece non si vuole fare: inutile accettare solamente per cortesia o per non risultare sgarbati.
Questa loro apparente freddezza, che spesso viene fraintesa da noi occidentali, abituati a frasi e sorrisi di circostanza, è sintomo di grande schiettezza e onestà.
Con il tempo ho cercato di assorbire questa stessa fermezza. E le volte in cui mi ritrovo davanti a impegni che non voglio o non posso prendere, freno il flusso dei pensieri, mi mordo la lingua e, prima di pronunciare il compromettente “sì”, penso a tutti quei “no, grazie” che ho ricevuto con estrema sincerità negli ultimi anni.
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