Quel brillante oggetto del desiderio

I cinque cerchi olimpici riflessi in una pozzanghera a Sochi (Foto: REUTERS/Brian Snyder)

I cinque cerchi olimpici riflessi in una pozzanghera a Sochi (Foto: REUTERS/Brian Snyder)

Tutta la vita a Sochi ruota sempre intorno a un unico argomento. La prima domanda che ci rivolgiamo ogni mattina è: oggi a chi andranno le medaglie?

I giorni normali, di routine, quando nel nostro impianto non vengono disputate gare da medaglie, trascorrono in modo molto rilassato. Si può raggiungere con calma, senza fretta il proprio luogo di lavoro per il cambio di turno e saltare anche un paio di corse per rimanere a contemplare la nebbia che avvolge la cima delle montagne e arrivare per questo in ritardo al treno. Fare tardi al turno non è il massimo, ma in un giorno non da medaglie ce lo si può concedere. In un giorno come questo i volontari non si precipitano al proprio impianto, di lavoro comunque ce ne sarà pochissimo da fare e perciò si può andare a mangiare a un’ora comoda, stare seduti tranquilli a bersi un tè per riprendersi dal viaggio di due ore dalla costa e rilassarsi un po’.

Nei giorni in cui l’attenzione della stampa di tutto il mondo non è così focalizzata su quanto avviene nell’impianto in cui si è al lavoro, tutti diventano più amabili e socievoli. È molto più facile comunicare con i colleghi, gli organizzatori e persino con gli atleti. Nessuno si sente oppresso da responsabilità schiaccianti e tutti fanno il proprio lavoro, garantendo la sopravvivenza dell’impianto. I rari giornalisti e addetti dell’Ufficio stampa dei Giochi, finiti forse per caso nell’area mista, anziché intervistarli, offrono cioccolatini, avvolti in stagnole fruscianti, agli atleti di passaggio, ricevendo in cambio, in segno di rifiuto, comiche smorfie e gesti teatrali. I colleghi si scambiano le ultime notizie e gli ultimi pettegolezzi “Ma avete sentito della caduta di Kovalchuk?”.  “Ma no, non è possibile”. “A voi sì che va bene!”. “Ho sentito dire che domani ci appenderanno finalmente i bastoni delle tende!”. “Non ci credo!”.

Quando arriva il giorno delle medaglie svanisce ogni possibilità di godersi il tempo. Dal primo istante dopo i controlli per la sicurezza cominci ad avvertire la serietà del momento. Subito ti senti afferrare per il gomito ed è qualcuno che chiede il tuo aiuto per spiegare a uno straniero che il passaggio in quella zona è vietato. Dopo aver risolto questo problema, ti precipiti al tuo posto di lavoro e ritardi perché un fotografo ti chiede di mostrargli dove si trova il settore per le pose fotografiche. Prima dell’inizio cominciano interminabili riunioni e briefing, si sfogliano le liste di partenza, c’è un’attesa carica di tensione, la frenesia e il caos regnano dovunque.

Con un ultimo barlume di lucidità riesci a intuire che ora si decide del destino delle medaglie olimpiche, che si tratta di un momento decisivo per la vita di tutti gli atleti che hai ammirato durante il lavoro fatto insieme e che l’intero mondo ci guarda. Ma questo è soltanto uno sfondo sfuocato per i compiti e i doveri che ti attendono nel grandioso meccanismo che va sotto il nome di Giochi Olimpici. In un giorno come questo non hai neppure un minuto di tempo per astrarti e riuscire a riprenderti. Una cascata di eventi ti travolge, trascinandoti in un abisso finché non ti ritrovi sul fondo: alle quattro e mezzo del mattino in una parte del Parco Olimpico dimenticata da Dio, alla fermata di un autobus, ad aspettare una corsa che arriverà solo tra 55 minuti. 

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