Un volontario a riposo a Sochi (Foto: Mikhail Mordasov)
Uno degli aspetti più avvincenti dei Giochi Olimpici è rappresentato dall’opportunità di incontrare tante persone nuove. È emozionante trovarsi circondati da individui interessanti provenienti da tutto il mondo e avere l’occasione di parlare con loro, imparare cose nuove e aiutarli. Verso la metà della rassegna nessuno si sorprende più nello scorgere alla fermata dell’autobus un famoso giornalista della tv nazionale che chiacchiera spensierato con degli sconosciuti, o nell’incontrare un fotografo sportivo di cui da anni si ammira il lavoro. Anche chi di noi non conosce le lingue straniere (purtroppo molti volontari non riescono a mettere insieme tre parole di inglese, malgrado la conoscenza base della lingua fosse un requisito obbligatorio e benché nell’anno che ha preceduto le Olimpiadi siano stati offerti corsi gratuiti per apprenderla) riesce a farsi capire e ad essere di aiuto ai nostri ospiti stranieri.
Il linguaggio dei gesti, l’impiego di tutte le parole straniere che si conoscono e un sorriso a trentadue denti fanno miracoli. Per ringraziare i volontari del loro aiuto, i membri delle delegazioni straniere e i giornalisti spesso offrono loro un ricordo, solitamente una spilla. Piccoli, ambitissimi oggetti destinati a diventare una preziosa merce di scambio. Verso la fine della prima settimana, i cordini ai quali appendiamo i nostri accrediti iniziano a ricoprirsi di una varietà di spilline-ricordo che riproducono i simboli di svariati Paesi e organizzazioni. Tra di noi ce le scambiamo, nella speranza di trovarne di rare ed insolite; le ostentiamo e le indossiamo con orgoglio, mostrandole a tutti (“Guarda qui: la spilla ufficiale della Federazione internazionale di Sci!”). Così, mentre nei primi giorni la domanda più frequente era “Di dove sei?”, adesso la frase che si sente ripetere più spesso è “Wow, dove hai preso questa spilla?”. Lo scambio di spille è una vecchia tradizione dei Giochi Olimpici, e Sochi non fa eccezione.
Naturalmente esistono anche dei volontari che ignorano le regole base del comportamento che il loro ruolo imporrebbe loro. Prima tra tutte: non essere mai di intralcio. Durante il corso di addestramento ci è stato espressamente detto che all’interno della mixed zone qualsiasi interazione personale è vietata. Il motivo di ciò dovrebbe apparire logico a chiunque: il terreno di gara e tutte le zone adiacenti rappresentano il sancta sanctorum dei Giochi. Il luogo dove i sogni si avverano e le speranze si infrangono, e nel quale l’ultima cosa da fare è importunare gli atleti. Una tentazione alla quale, purtroppo, non tutti sanno resistere.
Verso la metà dei Giochi sono iniziate a circolare le prime voci di volontari ai quali per un motivo o per l’altro era stato tolto l’accredito. Nella maggior parte dei casi ciò era accaduto perché l’interessato non era riuscito a tenere separato il lavoro dai sentimenti e dagli interessi personali. Ad esempio, in seguito alle rimostranze di un atleta di fama internazionale, che all’interno del Centro di sci e biathlon Laura è stato disturbato dai volontari con richieste di autografi e foto, diversi volontari sono stati rispediti a casa. Se simili imprevisti si verificano nel biathlon, immaginate cosa succede durante gli incontri di hockey su ghiaccio − che, come afferma una popolare canzone sovietica, “non è uno sport da codardi”. I volontari che sono stati scelti per seguire gli eventi di hockey su ghiaccio devono avere una volontà di ferro. Chissà.
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