Un genio a corrente alternata

Aleksandr Mostovoi (Foto: Fernando Garcia Arevalo)

Aleksandr Mostovoi (Foto: Fernando Garcia Arevalo)

Vizi e virtù (sportive) di Aleksandr Mostovoi, uno dei maggiori calciatori russi degli anni Novanta

Dribbling a rientrare al limite dell’area avversaria, palla che danza sotto le suole degli scarpini, tre difensori saltati come birilli. Gol. Con la maglia del Celta Vigo al Real Madrid, che pochi mesi prima vinceva la Liga sotto la guida di Fabio Capello, battendo il Barcellona di Ronaldo. L’istantanea perfetta della carriera di Aleksandr Mostovoi, uno dei talenti migliori prodotti dal calcio russo dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Piede fino e cervello sregolato, mai banale. L’uomo del passaggio impossibile. A difesa schierata, tra una selva di gambe. Alla ricerca costante del genio che viene fuori dalla lampada, illuminando novanta minuti di gioco.

Unica controindicazione: il genio di Mostovoi veniva fuori raramente, mentre spesso si faceva espellere per il tratto fumantino. Nell’epoca pallonara attuale, tra sceicchi, milionari, magnati che vengono dall’Asia, basterebbe una sola rete del genere per un trasferimento record, con ingaggi a svariati zeri. Negli anni Novanta, soprattutto il calcio era diverso. La rivoluzione culturale del 4-4-2 - primo firmatario, Arrigo Sacchi - aveva rivisto il ruolo del fantasista. Non più solo classe, ma corsa, fisicità, tattica. E Mostovoi era una anarchico della sfera.

Cinque anni allo Spartak Mosca, prima e dopo la caduta dell’Urss. Ricordato anche per un’altra rete speciale: contro il Metalist, dopo aver dribblato sei avversari in area di rigore. Poi, il salto nell’Occidente al Benfica. Senza controlli del gigante sovietico, libero, con tanti soldi in tasca, come altri suoi connazionali. Dal portiere leggenda Rinat Dasaev (Siviglia) ad Aleksandr Zavarov (finito alla Juventus).

Molti atleti, minati dall’eccessivo benessere economico, hanno visto sfumare una carriera. Per Mostovoi, dopo il Portogallo, il Caen (Ligue 1) e gli austriaci del Strasburgo. E otto anni al Celta Vigo, piccolo club spagnolo che spesso sapeva togliersi delle soddisfazioni, tra stelle in squadra e successi contro Barcellona e Real Madrid, le big della Liga. E una finale di Coppa del Re persa contro il Siviglia nonostante il suo marchio sulla partita. L’ex fantasista anni dopo confesserà, in un’intervista, che ad appena tre ore dalla partita era ancora seduto al tavolo con i dirigenti del Celta per contrattare il premio vittoria. Sarebbe stato il primo trofeo in carriera per lo Zar, come era chiamato in Spagna, 50 presenze e dieci reti con la Nazionale russa. Uno dei pochi ad aver indossato anche quella dell’Urss e della Csi.      

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