Marat Safin, il tennis power-rock

Marat Safin (Foto: Grigory Sisoev / Ria Novosti)

Marat Safin (Foto: Grigory Sisoev / Ria Novosti)

Ascesa e declino del tennista più forte della storia della Federazione. In cima al mondo dopo quell'incontro a Parigi, in cui maltrattò Sua Maestà Pete Sampras

In cima al mondo, tredici anni fa. Dopo aver fatto vinto il torneo Atp di Parigi-Bercy. Dopo aver maltrattato Pete Sampras nella finale dello Us Open. E poco importa che, dopo qualche settimana, la prima posizione mondiale era persa, un sogno breve, lieve. Marat Safin aveva il tennis nelle sue mani. Diverso, mai banale, poco incline alla diplomazia. A muso duro con arbitri, istituzioni, qualche collega che non piaceva poco. Insomma, viveva a modo suo. Soprattutto il tennis, più passione che lavoro. Indole rock.

Due titoli del Grand Slam (Us Open 2000, Australian Open 2005), la Coppa Davis vinta con la Russia nel 2002, tracce di talento disseminate in altri tornei importanti. Il tennista russo più forte di sempre. Anche se il ruolo imposto dalla sceneggiatura non faceva al suo caso, dentro e fuori al rettangolo di gioco. Nonostante un repertorio sconfinato: diritto, rovescio a due mani, servizio preciso e potente. Tecnica, velocità, ritmo: il moderno power tennis. Di sicuro, l’unico ostacolo al decennio di dispotismo che attendeva di lì a poco lo svizzero Roger Federer. Invece Safin era distratto. Dalla vita notturna, dalla passione per lusso, divertimenti, auto.

E le donne. “Non ho mai pagato una donna per venire a letto con me, semmai le pago per farle andare via” disse alla stampa. Gli australiani lo adoravano come un dio: finale Australian Open 2002 contro lo svedese Thomas Johansson. Un comprimario. Ma l’atto conclusivo del torneo cadeva nel giorno del compleanno di Safin, che faceva festa nella notte precedente alla partita. Champagne, donne, amici. Il giorno dopo dominava il primo set, poi il crollo. Titolo del Grand Slam in frantumi, tra gli applausi del pubblico di Melbourne, anche per due appariscenti ragazze svedesi che tifavano per lui nel box a bordo campo riservato alle famiglie degli atleti.

Nello stesso anno Marat diventava l’idolo nazionale trascinando la Russia al successo in Coppa Davis. Due anni dopo lo show si trasferiva a Wimbledon. In un’intervista successiva alla batosta rimediata al primo turno contro il russo Dimitri Tursunov, Safin ribadiva il suo amore per l’erba: “E’ buona per farci pascolare le vacche, non per giocare a tennis. L’unica cosa buona di Wimbledon sono le fragole, peccato siano così care”. Negli ultimi anni di carriera fioccavano sconfitte al primo turno, tornei in cui risplendeva l’antica grandezza, infortuni e allenamenti sempre meno intensi. I suoi colleghi, alla fine della partita contro l’argentino Juan Martin Del Potro a Parigi, novembre 2009, entravano in campo riservandogli, assieme al pubblico, una standing ovation. Ora Safin siede alla Duma, Parlamento russo, tra le file del partito di Vladimir Putin, Russia Unita. E Pete Sampras, in un’intervista, ha detto che tra 20 anni sarà Presidente russo.

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