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Credit: Niyaz Karim |
Mazzi di fiori, vino, cioccolatini. Addirittura una bottiglia di cognac. I preparativi per la discussione di laurea, in Russia, devono fare i conti con i cadeau da donare ai professori.
Ciondolando avanti e indietro per il corridoio dell’università, Lyuba aspetta con una punta di nervosismo il proprio turno. Tesi da discutere: la linguistica italiana, paragonata a non ricordo quale particolarità della grammatica russa.
Dai sacchetti del supermercato abbandonati in un angolo spuntano una scatola di cioccolatini “Merci” e una bottiglia di quello che loro chiamano “champagne”. Per i festeggiamenti del “dopo-discussione”. Immagino.
Pochi minuti dopo, ecco arrivare un altro laureando. Un ragazzo, che tutti chiamano per nome. “Ciao Misha!”. “Come va, Misha?”. “Udachi, Misha!”. Anche lui, insieme alla tesi rilegata, regge in una mano bibite e pasticcini.
Wow!, penso. Ci sarà una grande festa.
In fin dei conti, anche da noi in Italia, soprattutto al Nord, si usa festeggiare con parenti e amici la fine dell’università. In alcune città italiane volano uova e farina, alla faccia del neo-dottore gongolante, che accetta di buon grado gli scherzi con in testa una corona d’alloro.
Uno studente davanti all'Università di Mosca (Foto: RIA Novosti / Tatiana Podoinitsyna)
“Dove sarà la festa?”, chiedo sottovoce, per non distrarre la concentrazione della mia amica che sta ripetendo tra sé e sé i concetti chiave del suo discorso. “Quale festa?”. Mi risponde una ragazza. Le indico allora i cioccolatini, le bottiglie di vino e i bicchieri di plastica nascosti nei sacchetti. Che sembrano attendere anche loro il proprio turno.
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Studentati russi, un tuffo nel passato |
La ragazza – che fino a poco prima stava aggiustando la treccia alla laureanda – scoppia a ridere. “Ma no! Quelli sono i regali per i professori!”. Regali? Mi spiega che da loro, il giorno della laurea, si usa portare alla commissione dei doni. Un segno di ringraziamento per il relatore e il controrelatore.
Infatti, una volta dentro, ancora prima di introdurre la laureanda, la professoressa scarta i cioccolatini. Mentre il collega vicino si versa un bicchiere di vino.
Assisto divertita a questa scena. Nessuna formalità, poche etichette. La discussione avviene nello studio di un docente, senza parenti e genitori. Giusto qualche compagno di corso, che al termine dell’ultima lezione è passato per fare l’in bocca al lupo alla laureanda. Queste assenze mi stupiscono. “Perché dovrebbero venire i genitori?”, mi dice, al termine della cerimonia, quella ragazza bravissima a fare le trecce. “Da noi di solito i parenti non assistono alla discussione. È come un semplice esame. Più importante, certo. Ma come qualsiasi altro esame”, mi fa notare.
Manca, in effetti, quella pomposità che siamo abituati a vedere in Italia. Il relatore si rivolge a Lyuba in tono molto confidenziale. Conosce a menadito le singole parti del suo lavoro e lascia intendere di aver letto per filo e per segno questa relazione. Alla quale, da quanto capisco, ha collaborato in maniera particolarmente attiva e interessata.
Il parallelo con certe situazioni nelle università italiane è inevitabile. Ma evito di pensarci. Godendomi gli ultimi cioccolatini avanzati nelle scatole.
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