Volteggio, parallele, al cavallo con le maniglie, agli anelli. Boris Shakhlin è considerato uno dei pionieri della grande tradizione sovietica nella ginnastica artistica. Sette ori, quattro argenti, due bronzi.
Tra i dieci olimpionici più titolati di sempre. Ai Giochi romani del 1960, il ginnasta dell’Urss saliva sette volte sul podio in otto competizioni. Alle Olimpiadi di Melbourne, quattro anni prima, due ori, a cavallo e nella prova a squadre. A Tokyo 1964, oro alla sbarra, argento nella prova individuale e a squadra, bronzo agli anelli.
L’esordio avveniva a 12 anni, dopo essere rimasto orfano. Con la nonna, che si prendeva cura di lui, a spingerlo verso la ginnastica. Otto anni dopo, Olimpiadi di Helsinki 1952, la Nazionale gli negava l’esperienza a cinque cerchi. Ancora immaturo, Shakhlin restava folgorato dall’etica del lavoro del compagno di allenamento e mito personale, Viktor Chukarin, altro fuoriclasse degli attrezzi che in Finlandia centrava quattro ori e due argenti. Carattere freddo, distaccato, Shakhlin era definito “l’orso siberiano” dai cronisti tedeschi ai Mondiali di Francoforte 1955.
Anche per la sua altezza, insolita per un ginnasta, che lo rendeva eccellente alla barra orizzontale, con qualche difficoltà in più negli esercizi a terra. Mentre per tutti, nel resto della carriera sarà The Iron Man. Shakhlin diventava leggenda ai Giochi romani, dopo la cinquina di ori ai Mondiali di Mosca.
Le Olimpiadi italiane mettevano contro americani e sovietici. Un duello che segnerà le successive edizioni, sino al boicottaggio statunitense di Mosca 1980 e sovietico di Los Angeles 1984. E per la seconda volta in fila (dopo Melbourne 1956) l’Armata Rossa vinceva il duello. Con la ginnastica che arricchiva a ripetizione il medagliere dell’Urss, che contendeva al Giappone la supremazia mondiale. Tra le donne, il mito Laryssa Latinina, tre ori, due argenti, un bronzo.
E, nelle altre discipline, il successo delle sorelle Press (Irina e Tamara), che vincevano rispettivamente gli 80 metri ostacoli e il lancio del peso. Ma Shakhlin a Roma era al punto più alto di una scia di successi avviata quattro anni prima in Australia.
La prova migliore, nell’esibizione alla sbarra: terzo posto finale con mano sanguinante, senza mai lasciare l’attrezzo, tra applausi del pubblico romano e il rispetto della giuria.
In Giappone, nel 1964 (anno in cui entrava nel partito comunista) la sfida all’eroe di casa Yukio Endo, che riusciva a batterlo. E due anni dopo solo un attacco cardiaco, a 35 anni, lo costringeva a chiudere la sua carriera.
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta