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Credit: Niyaz Karim |
3 novembre 2013
Poeti come rock star. In un Paese dove tutti conoscono a memoria i versi della Akhmatova e sanno recitare a qualsiasi età le opere di Pushkin, non c’è niente di più vero della frase riportata nel bellissimo libro “Limonov” di Emmanuel Carrère: “Uno stereotipo vuole che in Russia i poeti siano popolari come da noi i cantanti di varietà”. Poeti come cantanti. Poeti come rock star. Conosciuti e riconosciuti dalla gente, che li fotografa per strada e ne custodisce con gelosia gli autografi strappati alle presentazioni dei libri.
Ripercorrendo un po’ a ritroso i miei anni in Russia, mi è tornata alla mente una serata un po’ bizzarra trascorsa in un locale nel cuore di Chistye Prudi, non lontano dal Boulevard che unisce due dei più bei quartieri della capitale.
Una gara di poesie organizzata in un locale di Mosca (Foto: Eva Canta)
Trascinata da un gruppo di amici (molti dei quali vedevo per la prima volta), mi sono ritrovata ad assistere a una gara di poesia: decine di aspiranti poeti, giovani dandy e più maturi signori, per un’intera sera si sono sfidati sul palco a suon di liriche e sonetti.
Tavoli affollati. Studenti con la sigaretta in mano che seguivano, quasi in religioso silenzio, l’alternarsi dei concorrenti al microfono. Tutto intorno, fumo. Quel fumo denso che ha sempre impregnato i locali di Mosca, prima che entrasse in vigore il divieto, e che creava in quell’occasione un’atmosfera puzzolente ma ancora più raccolta.
Io, ovviamente, mi limitavo a guardare. Intuendo solo a sprazzi quale musa aveva suggerito le poesie: la patria, un amore lontano, un amico scomparso, il senso di appartenenza alla Russia.
Una serata che si sarebbe potuta dire inaspettata in Italia, a Mosca si è rivelata un evento di successo, con la gente in piedi appoggiata alle pareti, in attesa che si liberasse un posto a sedere.
“Ti piace?”, ho sentito bisbigliare all’orecchio. Seduta vicino a me, una ragazza sorseggiava una Baltika da mezzo litro. “Non sei di qua, vero?”, mi ha chiesto, evidentemente dopo aver colto il mio accento straniero. Continuando a bere la sua birra, mi ha spiegato che assisteva spesso a queste gare, facendo il tifo per il suo ragazzo, salito sul palco a recitare una poesia dedicata a qualcosa che non sono riuscita a cogliere.
“Ha talento”, ha aggiunto, sgranando gli occhi e scandendo le parole. Come per accertarsi che capissi bene quella frase. “Il mio Artem è un grande poeta”.
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