Assalto di Greenpeace, il punto di vista dell'esperto

Gli attivisti di Greenpeace che si battono per la tutela dell'Artico (Foto: AP)

Gli attivisti di Greenpeace che si battono per la tutela dell'Artico (Foto: AP)

Quali leggi hanno infranto gli attivisti dell'organizzazione ambientalista fermati dalla Guardia costiera russa? Ne parla Aleksandr Skaridov, preside della Facoltà di Diritto Marittimo presso l’Università della flotta marittima e fluviale “S.O. Marakov”

Il caso dei trenta attivisti di Greenpeace che il 19 settembre 2013 sono stati fermati e poi arrestati dalla Guardia costiera russa durante un’azione di protesta contro la piattaforma petrolifera “Prirazlomnaya”, nel Mare di Pechora (è così che si chiama la parte Sud-orientale del Mare di Barents), ha innescato un acceso dibattito. Permangono, infatti, delle divergenze di opinione circa le ragioni che hanno portato all’arresto degli ecologisti.

Le incriminazioni

Il 25 settembre 2013 il comitato investigativo russo ha aperto un’inchiesta contro gli ambientalisti di Greenpeace fermati nel Mare di Pechora con l’accusa di “pirateria”. Dopo aver tentato di scalare la piattaforma petrolifera “Prirazlomnaya”, gli attivisti, provenienti da diversi Paesi, anche dall'Italia, sono stati arrestati e scortati a bordo della loro nave rompighiaccio fino al porto di Murmansk. Una volta giunti in città, l’equipaggio internazionale dell’imbarcazione è stato interrogato e inviato in un centro di detenzione provvisoria, secondo quanto confermato da diverse fonti di informazione

Innanzitutto, è necessario ricordare, ancora una volta, che il fatto ha avuto luogo entro i confini della giurisdizione russa. Allo stesso tempo, la nave rompighiaccio Arctic Sunrise, che è servita da base per le imbarcazioni a motore con le quali gli attivisti hanno raggiunto la piattaforma petrolifera per poi iniziarne la scalata, navigava sotto bandiera olandese e ha realizzato tutte le sue manovre mantenendo una distanza di tre miglia dalla piattaforma di trivellazione. L’incidente non ha causato alcun danno alla proprietà, né la morte di persone. Ciononostante, l’equipaggio è stato accusato di pirateria.

La legislazione russa definisce la pirateria come “un attacco contro un’imbarcazione marittima o fluviale, condotto mediante l’impiego o la minaccia di impiego della forza, con lo scopo di appropriarsi di beni e proprietà altrui”. Le azioni degli ambientalisti possono, pertanto, essere classificate, da un lato, come un atto di pirateria (tentativo di impadronirsi di un’altrui proprietà), ma dall’altro, l’oggetto del loro attacco non può in alcun modo essere considerato un’imbarcazione. La piattaforma “Prirazlomnaya”, infatti, è un’unità stazionaria, fissata sul fondo del mare, perciò qualsiasi azione illegale condotta contro di essa o il suo equipaggio va qualificata in modo diverso, e non come un atto di “pirateria”.

In base al Protocollo per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse
 situate sulla piattaforma continentale, commette un reato chiunque, illecitamente e intenzionalmente, s’impadronisce di una piattaforma fissa o ne esercita il controllo, con la violenza o con minaccia di violenza. Verrà incriminato anche chi compie un atto di violenza nei confronti di una persona che si trova a bordo di una piattaforma fissa, se questo atto è di natura tale da pregiudicare la sicurezza della piattaforma.

Si può dire, dunque, che gli attivisti di Greenpeace abbiano commesso reato quando hanno cercato di arrampicarsi sulla piattaforma petrolifera. L’intervento della Guardia costiera era legittimo. Le forze dell’ordine russe hanno il diritto di esercitare la propria giurisdizione penale su presunti trasgressori. E le azioni degli ambientalisti possono, di fatto, essere considerate una violazione della legislazione russa relativa alla piattaforma continentale e alla zona economica esclusiva della Federazione Russa.

La presenza di una nave straniera in acque territoriali russe è considerata legittima solo qualora l’imbarcazione stia esercitando il diritto di “passaggio inoffensivo” o sia diretta a un porto russo. Ciò significa che, se la Arctic Sunrise è entrata in acque territoriali, essa ha infranto la legge russa “sul confine di Stato della Federazione Russa”. Se la Arctic Sunrise si trovava, poi, nella zona economica esclusiva della Federazione Russa, allora la rompighiaccio e il suo equipaggio possono essere incriminati in relazione a tutta una serie di altri atti: se la nave è impegnata nella tratta degli schiavi, in atti di pirateria, nello spaccio di droga, in trasmissioni abusive (radiodiffusione non autorizzata) o nel danneggiamento di un cavo sottomarino.

Al fine di contrastare queste azioni (cioè se vi era, effettivamente, il sospetto che la rompighiaccio fosse impegnata in atti di pirateria) la Guardia costiera, quale garante della sicurezza delle coste russe, era tenuta a intervenire.

Ora, tuttavia, sorge un altro problema: sulla base della “Convenzione internazionale sul sequestro di navi” del 1999, la Arctic Sunrise andrebbe immediatamente svincolata dal sequestro nel caso in cui venisse prestata un’adeguata cauzione o garanzia finanziaria. La revoca del sequestro rimane, quindi, ora solo una questione pecuniaria. Suddetta restituzione, però, non compromette la conduzione di ulteriori indagini, né costituisce un’ammissione di responsabilità o il rifiuto della difesa.

Aleksandr Skaridov è preside della Facoltà di Diritto Marittimo presso l’Università della flotta marittima e fluviale “S.O. Marakov”

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