Oleg Moliboga in campo con la maglia della Nazionale sovietica (Foto: Ria Novosti)
In Italia nel 1978 sbarcava, per i Mondiali di pallavolo, la squadra dei marziani, l’Unione Sovietica. Quattro titoli iridati e due ori olimpici in bacheca, oltre all’argento vinto ai Giochi di Montreal 1976. Una squadra che ha tracciato un’epoca. E che avrebbe trionfato, oltre che nel torneo italiano, anche agli Europei in Francia, l’anno successivo, e in casa, alle Olimpiadi di Mosca 1980.
Vladimir Tchernichov, Oleg Moliboga, Pavel Selivanov, Alexandr Ermilov. Solo alcuni dei fuoriclasse di un’Armata invincibile. Secondo gli esperti, c’era tale materiale tecnico nel movimento sovietico da formare quattro sestetti, ognuno in grado di aggiudicarsi la medaglia più pregiata. Il trionfo dell’Urss coincideva, in pratica, con la nascita della pallavolo moderna in Italia. Per uno sport già popolare, soprattutto praticato nelle scuole, nelle parrocchie.
Con centomila tesserati ma pochi spettatori seduti nei palazzetti dello sport. Anche perché la Nazionale azzurra non emergeva a livello internazionale: ottavo posto ai Giochi di Montreal, due anni prima e 19esimo posto ai Mondiali 1974. Invece nell’edizione casalinga l’Italia si esaltava, macinando avversari su avversari, entusiasmando i tifosi che accorrevano al PalaEur a Roma. Un’esaltazione che diventava ammirazione, quando sul rettangolo di gioco c’erano i maestri sovietici. Sino alla finale, solo agevoli vittorie, appena tre set perduti. Potenza, precisione, nessuna concessione allo spettacolo. Semplicemente, una macchina da punti. Che pure aveva battuto gli azzurri, allenati da Carmelo Pittera, nella fase delle semifinali.
Le due squadre si ritrovarono in finale. In un palazzetto dello sport esaurito, con la diretta televisiva coperta dalla Rai. L’entusiasmo azzurro durava poco, travolto dalla straordinaria forza sovietica. Tre set a zero. L’ultimo con il punteggio di 15-1 (c’era ancora il cambio palla, il rally point system ovvero un punto assegnato per ogni azione vincente, entrerà in vigore nel 2000).
Il pubblico italiano non accettava la superiorità dell’Urss. Lanciando monetine all’indirizzo degli azzurri nel secondo e terzo set. In realtà, nasceva la prima grande Nazionale italiana, dieci anni prima della generazione di fenomeni allenata dall’argentino Julio Velasco. Che avrebbe anche “approfittato” della fine della Nazionale sovietica, prendendo a duellare, anni dopo, con la Russia.
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