L'oligarca russo Roman Abramovich, patron del Chelsea dal 2003 (Foto: RIA Novosti / Alexei Kudenko)
Il calcio l’ha cambiato lui, esattamente dieci anni fa. Prima degli sceicchi, degli altri milionari russi, del fair play finanziario imposto da Michel Platini, numero uno dell’Uefa, per sgravare i bilanci societari. Roman Abramovich, uno degli imprenditori russi più ricchi e conosciuti al mondo, nella prima settimana di luglio 2003 acquistava il Chelsea.
Uno dei primi a investire in una società sportiva all’estero, poi seguito negli anni dai vari Alisher Usmanov (Arsenal), Mikhail Prokhorov (New Jersey Nets, Nba), Dmitri Rybovlev (Monaco, Ligue1).
Poco meno più di 160 milioni di euro per ripianare i debiti della gestione precedente, altri 279 spesi per rafforzare il club londinese nei successivi 60 giorni. Altro che Al Thani, patron del Paris Saint Germain, oppure Al Mansour, l’uomo d’oro del Manchester City.
Ecco Glen Johnson, Alexey Smertin, Geremi, Juan Sebastián Verón, Damien Duff, Wayne Bridge, Joe Cole, Adrian Mutu, Hernán Crespo, Scott Parker e Claude Makelele. Un esercito di calciatori, alcuni anche venuti un po’ cari, mentre il resto d’Europa si chiedeva se rimanesse qualcosa anche per il mercato delle altre squadre.
Con Abramovich e il mito della sua grandezza economica partiva il nuovo corso del calcio europeo, che ora vede protagonisti arabi, russi, turchi. Con i rubli si strappavano i migliori talenti alle tradizionali “big”. Al Real Madrid, al Barcellona, al Milan, al Bayern Monaco.
Abramovich apriva il portafogli, affari chiusi in poche ore. La sua fortuna è stato José Mourinho, tornato sulla panchina dei Blues in tempo per l’anniversario, dopo anni tra Inter e Real Madrid. I due erano visionari, vincenti e litigarelli. Con Mou, il Chelsea ha conquistato la Premier League 2004, titolo che mancava dal 1955. E si è ritrovato tra le migliori in Champions League, con un paio di semifinali e la finale 2008 (giocata a Mosca) persa ai rigori contro il Manchester United.
Senza Mou, negli anni successivi ha vinto la Champions League e pochi mesi anche l’Europa League. Niente male, per un riccone inesperto (così dipinto dai media), dal carattere difficile, che si annoia anche quando vince, licenziando in poche settimane il tecnico (Roberto Di Matteo) che vinceva la Champions League. E che in due anni ha investito oltre due miliardi di euro, conquistando 11 trofei. Sovvertendo le leggi non scritte del calcio europeo.
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