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Credit: Niyaz Karim |
16 giugno 2013
Lo vedevo sempre lì, con una
suola in mano e un tacco mozzato posato sul tavolino. Si lisciava quei baffi
ispidi e folti, attaccati sotto un paio di occhiali dalla montatura nera.
Quando sfilava gli occhiali, si aveva quasi l'impressione che sarebbero venuti
via anche i baffi e il naso, come in quelle buffe maschere di carnevale. Era
diventato il mio calzolaio. Aggiungerei di fiducia, se avessi avuto la sfortuna
di dover riparare le scarpe più di una volta. Ma capita più spesso che le butti
via, conciate male come sono, invece di aggiustarle. Finché un giorno, la suola
dei miei stivali non ha deciso di mollarmi quasi a piedi. O meglio, col calzino
di fuori.
Passando davanti a quel negozietto pieno di scarpe e scatoloni accatastati in pochissimi metri quadrati, mi ci sono infilata dentro, sventolando davanti ai baffi di quel simpatico signore i miei stivali consumati. Da un paio di suole bucate, ne è nata una piacevole conoscenza.
Un sottopassaggio di Mosca (Foto: Eva Canta)
Attraversando tutti i giorni, due volte al giorno, quel sottopassaggio che ospita il calzolaio e una decina di altri piccoli negozietti, dal fruttivendolo al fioraio, ho iniziato a salutare con un certo entusiasmo quel signore gentile e sempre sorridente, in una città dove a sorridere sono spesso in pochi. Boris, si chiama.
Sbracciandosi dall’altro lato del sottopassaggio, Boris è diventato nei giorni una presenza costante. Lo vedevo la mattina uscendo di casa, e me lo ritrovavo lì puntuale, con le sue solite montagne di scarpe, alla sera quando rientravo. A giudicare dai lineamenti, credo che avesse origini azerbaigiane.
Dopo un breve periodo in Italia, al mio rientro mi ha riempito di domande, per sapere se mi ero divertita e se avevo mangiato bene a casa. Si è informato sulle condizioni meteorologiche di Milano e mi ha intonato un pezzo di una canzone di Celentano. Così, per farmi sentire il suo affetto per l’Italia.
Un giorno, poi, scendendo le scale che portano al sottopassaggio, mi sono accorta che Boris non c’era più. Come lui, anche tutti i suoi colleghi dei negozietti vicino. Su iniziativa del sindaco di Mosca, che vorrebbe ripulire vie e gallerie da chioschi e baracchini per questioni di ordine e decoro, i negozi di quel sottopassaggio sono stati completamente smantellati. Al loro posto, una squadra di operai ripuliva i muri scrostati dall’umidità, mentre un vecchio signore chiedeva l’elemosina intonando una canzoncina con una fisarmonica.
Mi è dispiaciuto molto non ritrovare il mio amico calzolaio. Non gli ho neanche mai chiesto bene chi fosse e da dove venisse. Era sufficiente quel “privet” allegro per iniziare bene, e con il sorriso, la mattina.
Non molto tempo dopo, all’uscita della metro vicina, l’ho visto lì, intento a chiacchierare con un signore. Si sbracciava come al solito parlando, e sorrideva, gesticolando con la sigaretta in mano. Avvicinandomi per salutarlo, mi ha accolto con un sonoro “buongiorno”, in italiano. Mi ha spiegato di aver trasferito il suo negozietto pochi metri più in là, in un vicolo. Per assicurarsi di non perdere un buon cliente, mi ha lasciato un suo biglietto da visita: un buffo fogliettino di carta scritto accuratamente a mano, tagliato con le forbici, dove veniva indicato solamente il nome, Boris, e la via del negozio. Una vera salvezza, per le mie prossime scarpe bucate.
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