La scrittrice russa Ludmila Ulitskaya (Foto: Opale / East News)
Qual è la prosa femminile russa di oggi? Per il lettore occidentale che ha una certa familiarità con la letteratura russa il concetto di “prosa russa femminile” si lega prima di tutto ai nomi di Ludmila Ulitskaya, Tatjana Tolstaja, Ludmila Petrushevskaja.
Le donne citate sono arrivate alla letteratura nella seconda metà degli anni Ottanta. È difficile, e forse non ha senso, provare a trovare qualcosa in comune in queste importanti scrittrici.
In effetti la loro prosa è stata raramente un’esaltazione della vita, nel complesso l’impressione che se ne ricava è di pesantezza, a volte persino di cupezza.
La spiegazione sta in superficie: queste autrici hanno vissuto una parte importante della loro vita nell’Unione Sovietica e i ricordi di quegli anni sono per lo più negativi. Così è stato.
La generazione successiva, quella degli anni Novanta, ha regalato meno nomi autorevoli; continuare l’elenco dopo l'Ulitskaya, la Tolstaja e la Petrushevshkaja pur rimanendo allo stesso livello è piuttosto complicato.
Forse la prosatrice più interessante degli anni Novanta è Olga Slavnikova, un caso isolato, una diretta erede della linea nabokoviana.
In generale, comunque, tipica della prosa femminile degli anni Novanta era la sensazione di una libertà come arrabbiata, al limite dell’impudenza; basti ricordare i romanzi della scrittrice prematuramente scomparsa Natalja Medvedeva.
Le autrici si sforzavano nel modo più rigoroso e ampio possibile di staccarsi dall’ipocrisia sovietica e da ogni tentativo di limitare la libertà umana (inclusa quella femminile).
Già allora tutto questo rinnovamento letterario aveva il sapore di una tragedia inevitabile. Ora non c’è il potere sovietico, dai tempi del crollo dell’Urss è passato un quarto di secolo. Tuttavia è nata un’intera generazione di nuove scrittrici che, se non si sono trovate di fronte i vecchi tempi, sono state nondimeno costrette a fare i conti con una nuova epoca, non meno squallida.
Per essere chiari, una serie di letterati dell’epoca sovietica usava solitamente un approccio piuttosto volgare: tutto il brutto che i loro protagonisti dovevano sopportare era riconducibile senza riserve ai difetti del regime sovietico, come a dire che se non ci fosse stato il potere sovietico, l’uomo sarebbe stato per forza felice in qualunque situazione, uomini e donne non si sarebbero lasciati o tormentati a vicenda, ogni infanzia sarebbe stata serena e persino gli animali domestici sarebbero vissuti cento anni e le persone non avrebbero camminato sulla terra, ma un po’ più in alto, svolazzando leggeri.
Negli anni Duemila è avvenuta una scoperta incredibile: una volta finito il regime sovietico, per quanto a volte fosse stato terribile, la donna non è diventata più felice. Come se non bastasse, sembra che oggi per lei sia ancora più faticoso. Questa fatica ha cause ontologiche e sociali.
Non molto tempo fa ho avuto occasione di curare un’antologia dell’ultima prosa femminile. Sono stati inclusi racconti brevi e lunghi di quattordici scrittrici dai 25 ai 40 anni. I nomi più interessanti di questa generazione sono Maja Kucherskaja, Marina Stepnova, Alisa Ganieva, Anna Starobinec, Natalja Kljuchareva; i loro libri vengono tradotti in tutte le maggiori lingue europee, così potrete confrontare le vostre impressioni con le mie.
Nel selezionare i testi per l’antologia non mi ero posto alcun obiettivo particolare: ho soltanto scelto i racconti che mi erano piaciuti, scritti dalle più illustri autrici di oggi. Prima di consegnare il manoscritto alla casa editrice ho riletto tutto da capo e mi sono stupito da solo di quanto alcune tendenze fossero visibili a occhio nudo.
L’apoliticità è un tratto caratteristico della prosa femminile contemporanea. È stata una sorpresa intuire che l’uomo può star bene o male a prescindere da quale tipo di economia ha impostato lo Stato in cui vive. Nel mondo che circonda la donna è rimasto ben poco di epico. Tocca cercare l’eterno in se stessi e non all’esterno.
Un altro tratto di questa prosa è che le sue protagoniste puntano tutte alla felicità, ma è uno sforzo destinato a non realizzarsi. Non ci sono più né Stalin né il Commissariato del popolo per gli affari interni (l’Nkvd), non occorre parlare delle repressioni di massa, e persino la guerra in Cecenia ha toccato una parte della popolazione russa meno consistente di quanto potrebbe sembrare.
A fronte di tutto ciò comunque la sensazione che le eroine liriche dei libri di oggi ricevono dal mondo in cui vivono è di fatica: il mondo è pericoloso e malvagio, partorire fa paura, vivere è rischioso. Quelle che negli anni Novanta erano tragiche premonizioni, negli anni Duemila si sono trasformate in un diapason: il senso di smarrimento e dolore (di Natalja Kljucharevaja) scivola nella sensazione di inesorabile orrore (di Anna Starobinec, per esempio). Tuttavia i valori che professano le rappresentanti della prosa femminile sono del tutto tradizionali e persino conservatori: l’esistenza e la vita quotidiana, la famiglia e la compassione, una religiosità silenziosa, sussurrata ma tangibile.
Una particolarità di una serie di testi delle scrittrici di nuova generazione mi ha lasciato perplesso: la mancanza di uomini. Non dico in qualità di martiri del mondo, ma nemmeno come protagonisti almeno sporadici (né tantomeno unici). In decine di testi non compariva nemmeno un uomo!
Se anche fosse femminismo è come se l’avessero appiccicato addosso alla donna: non lo voleva, non le serviva più di tanto; ma non si può più scegliere e la donna della prosa russa contemporanea si crea una vita da sola.
È una donna che vive al massimo e non si arrende fino all’ultimo e a quanto pare adesso sta imparando a scegliere da sola se essere felice o no. Le donne non possono vivere a priori in nome di scopi irrazionali, quello è un lusso che possono permettersi soltanto gli uomini; le donne invece hanno i figli, ergo deve esserci un futuro, deve esserci una speranza.
La speranza c’è, si sente, malgrado tutto e tutti. Anche se non sono riuscito a capire dove si nasconda. Mi sa che quella speranza sia proprio la donna. Beh, è già qualcosa.
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