Una fuga ingannevole di capitale

Vignetta di Alexei Yorsh

Vignetta di Alexei Yorsh

Che la Russia sia fondamentalmente un’economia con un livello di investimenti basso, non è una novità. Vediamo perché

Il “deflusso di capitali” occupa uno dei primi posti tra gli indicatori economici che vengono costantemente citati dalla stampa, in occasione di conferenze, e a volte persino invano, quale segno di debolezza della politica economica russa. Ciò è dovuto in parte anche alle previsioni della Banca Centrale, che è solita fissare questo indicatore a un livello di gran lunga inferiore rispetto a quella che poi è la realtà, dando luogo così a “sorprese negative”.

Il “deflusso netto di capitali”, tuttavia, è un concetto economico complesso e l’idea semplicistica secondo cui il suo rapporto con l’economia si spiegherebbe con “quanto più alto è, peggio è; e quanto più basso è, meglio è”, suona quasi come un’eresia.

Il problema della fuga di capitali inizia con la sua definizione. Siamo soliti utilizzare i dati elaborati dalla Banca Centrale della Federazione Russa, sulla base di un’analisi volumetrica, che include al suo interno decine di articoli sul flusso di fondi e beni, la maggior parte dei quali non è così evidente in fase di calcolo.

Ernst & Young sottolinea in un suo rapporto una serie di contraddizioni: l’entità delle “discrepanze” tra il metodo utilizzato dalla Banca Centrale e quello della Banca Mondiale dà luogo a una differenza dell’ordine del 50 per cento. In questo modo, il deflusso, che emerge dalle analisi della Banca Mondiale, è inferiore. Il fatto è che la Banca Centrale considera, ad esempio, anche l'acquisto di aeromobili all'estero e le acquisizioni estere di società russe (ossia gli investimenti sull'economia russa), nonché l'acquisto di valuta da parte della popolazione.

Eppure, anche raggiungendo un accordo sul metodo da utilizzare, non riusciremo comunque a trovare un collegamento diretto tra il deflusso di capitali e la qualità dell'economia del Paese. I maggiori esportatori di capitali del mondo sono Paesi molto forti economicamente, come Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Norvegia, e, naturalmente, Cina e Giappone. I maggiori importatori, invece, non sono solo l’Italia e la Spagna, che versano in una situazione di crisi, ma anche le forti economie di Stati Uniti e Canada, così come Paesi emergenti quali Turchia e Brasile.

“Il deflusso netto di capitale” è un indicatore che va estrapolato dal contesto economico. Per l'economia è di vitale importanza mantenere un livello di investimenti adeguato (e può essere solo che adeguato, perché un livello eccessivo potrebbe invece essere pericoloso) e disporre di aggregati monetari. Il “deflusso netto di capitali” non è che un piccolo canale attraverso il quale si altera questo livello. Non è nemmeno corretto dire che i Paesi con un livello insufficiente di investimenti possiedano un flusso netto di capitali. A volte, fonti interne, come l'aumento del fatturato dei fondi e la riallocazione dei flussi, sono più efficaci.

Il deflusso di capitali può avvenire in tre modi: può essere una fuga di capitale accompagnata anche dal trasferimento del centro che sfrutta i profitti derivanti da esso (in generale è un male per l'economia, dal momento che il capitale inizia a essere utilizzato in un altro Paese); può essere rappresentato da investimenti operati all'estero da parte di operatori economici domestici (vale a dire, un’espansione, che in generale è un bene per l'economia); o, infine, da un’operazione di bilanciamento di transazioni precedenti, come, ad esempio, il saldo di vecchi prestiti esteri. Ciò significa che non tutte le forme di deflusso, anche a livello teorico, sono da considerarsi negative.

Che la Russia sia fondamentalmente un’economia con un livello di investimenti basso, non è una novità. Il nostro Paese ha bisogno di trilioni di dollari da investire in infrastrutture, comunicazione, tecnologie e produzione di valore aggiunto. In questa situazione, il deflusso di capitali di “primo tipo” è un fattore negativo.

Ma le sue dimensioni sono trascurabili, se rapportate con le esigenze dell'economia. Nel corso degli ultimi sei anni (si parla circa di 33 miliardi di dollari, secondo il metodo della Banca Mondiale), le perdite causate dal deflusso di capitale sono state inferiori all’8 per cento delle riserve valutarie russe. Naturalmente, tale flusso è costituito da capitali accumulati in maniera illegale (attraverso atti di corruzione) e trasferiti all’estero, e capitali messi in salvo da rischi eccessivi (perlopiù non giuridici e politici). Tutto ciò, ovviamente, è vergognoso: dimostra, in maniera evidente, la qualità della governance del Paese. Ma i concetti di “vergognoso” e di “importante dal punto di vista economico” sono due cose distinte.

Ci sono anche “afflussi di capitale”, originati principalmente da investimenti esteri. E anche gli afflussi di capitali possono essere diversi. Gli investitori stranieri più cinici non vanno nelle regioni dove il Paese ha bisogno di investimenti, bensì dove si possono registrare (e rimpatriare) i maggiori profitti. In Russia – Paese che compare al 112mo posto nella classifica “Doing Business” della Banca Mondiale – i capitali stranieri (anche se arrivassero in Russia in quantità superiori rispetto alle attuali), si concentrerebbero sugli strumenti di debito di enti pubblici e banche, nonché sulle speculazioni valutarie, non contribuendo così in alcun modo allo sviluppo del Paese.

Per aumentare il volume degli investimenti, la Russia ha bisogno di un nuovo sistema giudiziario indipendente, una legislazione sostanzialmente rivista, un sistema efficace di tutela dei diritti dei proprietari e degli azionisti di minoranza, una nuova strategia di investimento dello Stato stesso (per sostituire gli investimenti in titoli del Tesoro statunitensi con il coinvolgimento simultaneo di debiti costosi per le imprese private), un aumento del fatturato dei fondi, una demonopolizzazione e una nuova privatizzazione, così come molte altre misure necessarie a produrre un incremento reale degli investimenti, sia nazionali che esteri. E non è detto che alla fine, a seguito di una crescita massiccia degli investimenti, il deflusso di capitali non aumenti.

L'autore è socio direttore della società di investimento “Tretij Rim”

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