Ilham Aliyev, presidente dell'Azerbaijan (Foto: Ria Novosti)
Paese particolare, l’Azerbaijan. Piccola nazione del Caucaso con dieci milioni di abitanti diventata indipendente come il resto degli stati dell’Urss nel 1991, è ora una Repubblica. Almeno di nome.
Il sistema in vigore è quello presidenziale, con il capo dello Stato che ha poteri molto più estesi di quelli del Parlamento, formato da una sola Camera, l’Assemblea nazionale (Milli Majlis). Dopo il primo turbolento periodo, sino 1992, quando al vertice del Paese sono passati cinque presidenti, dal 1993 i capi di Stato succedutisi sono stati solamente due e di cognome fanno entrambi Aliyev, Heydar e Ilham.
Non un caso di omonimia, si tratta infatti di padre e figlio. Il primo, Heydar ha governato sino al 2003, quando ha passato lo scettro – in maniera formalmente democratica – al secondo: il rampollo Ilham è stato eletto per la seconda volta nel 2008 ed è in attesa del tris il 16 ottobre 2013. Il condizionale è d’obbligo, visto che in questi Paesi gli appuntamenti elettorali possono essere anche spostati a seconda delle esigenze.
ome in altre ex repubbliche sovietiche, dal Tagikistan all’Armenia, la questione sulla scelta del presidente sembra però anche qui scontata, visto che il sistema di potere è ben saldo nelle mani degli Aliyev. La famiglia controlla la politica e controlla anche l’economia, che si basa essenzialmente sulle risorse energetiche del Caspio, gas e petrolio.
L’Azerbaijan è diventato negli ultimi vent’anni un importante punto di riferimento per i rifornimenti verso Occidente, con le multinazionali che fanno a gara per accaparrarsi più commesse. A gestire gli affari è la Socar, il colosso energetico nazionale controllato appunto dallo Stato.
Se fino a un paio di anni fa l’Azerbaijan importava gas dalla Russia, ora è un esportatore netto, grazie soprattutto ai giacimenti di Shah Deniz. Dal Paese partono importanti condotte (l’oleodotto BTC, Baku-Tbilisi-Cheyan o la South Caucasus Pipeline, BTE, Baku-Tbilisi-Erorum per il gas) e nuove sono in progetto, dalla Tap (Trans Adriatic Pipeline, recentissimo l’accordo) all’Itgi (Interconnettore Turchia-Grecia-Italia).
Ci sarebbe anche il famoso Nabucco, che però sembra ormai avere poche possibilità dopo l’arrivo di South Stream. Insomma, con lo Stato che controlla i tesori energetici e distribuisce al miglior offerente, è naturale che l’Occidente chiuda un occhio sui deficit democratici di un Paese che più che a una repubblica assomiglia a una monarchia.
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