L’attentato a San Pietroburgo: a chi giova?

Forze di polizia pattugliano la stazione Sennaya Ploshchad della metropolitana di San Pietroburgo.

Forze di polizia pattugliano la stazione Sennaya Ploshchad della metropolitana di San Pietroburgo.

: Sergej Konkov/TASS
Il feroce attacco sulla metropolitana potrebbe giocare a favore degli interessi di due possibili terze parti che potrebbero esserne i potenziali mandanti: i fanatici islamici dell’Isis e gli ultra-nazionalisti dell’Ucraina. Il commento dell’esperto

Al di là dell’esecutore materiale (i servizi di intelligence della Repubblica del Kirghizstan confermano che il terrorista è di origine kirghiza), l’attacco non ha le caratteristiche della strage a opera di un “lupo solitario”, ma ha tutto l’aspetto di un atto terroristico premeditato e ben organizzato.

Il bersaglio (civili, non soldati), la portata (la bomba era stata piazzata al centro del vagone e lo scoppio è avvenuto nella galleria per ottenere il maggior numero di vittime possibile), il luogo (la città natale del presidente Putin) e la tempistica sono stati scelti di proposito per scatenare un’atroce tragedia umana e una copertura mediatica “esplosiva”.

Le caratteristiche dell’attacco possono aiutare a rispondere all’annosa domanda: “Cui prodest?”, “A chi giova?”. Chiunque possa trarre vantaggio da questo atto disumano può a buon diritto rientrare nella lista dei sospettati.

I fondamentalisti islamici

I fondamentalisti islamici di Daesh si stanno ritirando nelle zone di Siria e Iraq. L’avanzata su molti fronti della “coalizione multinazionale in Iraq” (conosciuta come “coalizione dei volenterosi”, ndr) in guerra con l’Isis, unita al minor interesse dimostrato dagli Stati Uniti nel gestire la crisi nella difficile area mediorientale lascia ai sostenitori del Califfato pochissime chance di resistere alla pressione, e ancor meno di poter organizzare una risposta armata.

Di fronte alla sconfitta imminente Daesh farebbe quindi ricorso ad attacchi terroristici che già hanno sconvolto i cittadini di molte città dell’Europa occidentale. Anche la Russia è nel mirino del terrorismo internazionale.

Dall’autunno 2015 Mosca ha fornito supporto militare e diplomatico al regime di Bashar al-Assad in Siria, tenendo testa sia a una guerra civile sia a Daesh che aveva occupato quasi un terzo circa del territorio. La Russia ha dimostrato di essere un attore temibile, in grado di cambiare il corso degli eventi a favore delle forze anti-terroristiche. A marzo l’Isis ha compiuto un attacco suicida contro la base della Guardia nazionale russa in Cecenia. Le incursioni dell’Isis nel territorio russo sono innumerevoli, benché molte siano state bloccate sul nascere o rese inoffensive, come affermano le agenzie di sicurezza.

Secondo i dati pubblicati, circa 9.000 jihadisti di Daesh sono nati in Russia o nelle ex repubbliche sovietiche. Sentendo che il sogno islamico di restaurare il Califatto sta svenendo e per paura della propria incolumità, alcuni estremisti potrebbero aver fatto ritorno a casa.

Poiché si tratta di combattenti che conoscono soltanto l’arte della distruzione e dell’assassinio è molto difficile che siano in cerca di una esistenza pacifica. È invece molto più probabile che continuino a fare quello per cui sono stati addestrati, seguendo la loro vocazione di morte e di annientamento degli infedeli.

L’attacco a San Pietroburgo potrebbe quindi essere stato progettato da Daesh con l’impiego di jihadisti che erano tornati a casa per trovare una risposta al loro fallimento esistenziale.

Gli estremisti ucraini

Nonostante il trionfalismo degli ultra-nazionalisti ucraini che sono riusciti a controllare il governo di Petr Poroshenko, la possibilità di riportare nell’immediato futuro il Paese alla stabilità e alla crescita raggiunti sotto il presidente Janukovich è molto bassa.

La consapevolezza da parte della coalizione di ultradestra, che comprende il partito neonazista “Svoboda”, (“Libertà”) di una situazione non rosea e i fallimenti registrati su più fronti (la ribellione vittoriosa al “cambio di regime” a Kiev delle due repubbliche autoproclamate nel Donbass, la rapida de-industrializzazione dell’economia nazionale, l’atteggiamento tiepido dell’Unione Europea alle richieste di aiuto economico ecc…) possono aver esacerbato e quindi reso più violenti gli ultra-nazionalisti.

Dato che l’ultradestra ucraina è riuscita a reclutare e radunare collaboratori stranieri, alcuni dei quali sono veri e propri mercenari professionisti con esperienza di combattimento, non si dovrebbe escludere l’ipotesi per cui essi vogliano ora prendere di mira il presunto colpevole delle loro battute d’arresto e della sconfitta imminente, ovvero la Russia.

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