Charlie Hebdo: uno scontro tra due Medioevi

Vignetta di Alexei Iorsh

Vignetta di Alexei Iorsh

La tragedia che si è consumata nella redazione della rivista francese, secondo lo storico dell'arte Grigorij Revzin, è un dramma dell'incomprensione reciproca tra due antiche tradizioni

Per tre giorni mi sono afflitto per via di una certa diversità di vedute con i miei amici liberali. Ma ora che Cherif e Said Kouachi sono stati uccisi, mi permetterò di dire qualche parola. A me sembra che non stiamo dando la giusta interpretazione alla tragedia avvenuta a Parigi, considerandola come un attacco degli islamisti al sacro principio europeo della libertà di parola.

Non sto in alcun modo giustificando gli assassini, né voglio dire che i caricaturisti se la siano cercata, o cose del genere. I credenti nel mio paese (cittadini russi) offendono così spesso la mia mente che io non ho niente in contrario se qualcuno offende i loro sentimenti. Quella che voglio dire è un'altra cosa. Mi sembra inappropriato considerare la rivista Charlie Hebdo come un'espressione della libertà di parola. Fare ciò equivale a dire che la libertà di parola serve a compiere insensate oscenità.

Se avete visto le caricature della rivista capirete che cosa intendo: per livello di concezione artistica, per profondità di pensiero e per il linguaggio usato esse si avvicinano ai disegni nei bagni pubblici, benché gli argomenti trattati siano un po' più ampi. Eppure, il principio della libertà di parola esiste non per raccontare storielle sconce su Dio e sulla chiesa, sullo stato e la famiglia, su grandi e piccoli uomini.

Sono consapevole della tempesta di sdegno che solleverò, ma sto anche calcando la mano a fini polemici. Tutto questo non ha nulla a che fare con la libertà di parola. La libertà di parola venne introdotta (e limitata) dai trattati illuministici e dalle costituzioni a partire dal XVIII secolo. Qui si tratta di qualcosa di più antico. È impossibile comprendere come possa esistere una rivista di questo genere in un paese civile contemporaneo, se non si considera che stiamo parlando della Francia. Il paese di Villon, di Rabelais, il paese della scultura gotica con le sue creature infernali, disgustose e comiche, delle annotazioni indecenti sui margini dei manoscritti ecclesiastici. La caricatura nasce dalla cultura comica medievale, e i caricaturisti non sono certo oratori né filosofi. Sono dei giullari, geniali creatori di scabrosità e sconcezze che derivano dalla tradizione carnevalesca.

Certamente, per via del ruolo avuto dalla caricatura in Francia all'epoca della rivoluzione francese, essa è entrata a far parte dell'immaginario della libertà europea. Ma ciò non vuol dire che le due cose coincidano. La caricatura è un fenomeno assai più antico della libertà, è una liberazione dai ceppi della civiltà, l'emancipazione della natura animale che è in noi. La possibilità di fare un gestaccio all'imperatore non coincide affatto con il diritto di smascherare la corruzione, le prevaricazioni del potere, o di contestare le tasse in parlamento. È una possibilità di scrollarsi di dosso le catene delle norme sociali, della decenza e dell'autorità. Talvolta ciò favorisce le rivoluzioni, perché desacralizza il potere; a volte invece torna a favore del potere, perché superando gli sbeffeggiamenti carnevaleschi esso si rafforza: o almeno, così riteneva il filosofo russo Mikhail Bakhtin. Ma questa tradizione è nata non per il potere, bensì per liberare l'uomo da se stesso. Essa si fonda non sulla risata sferzante della satira classica, ma sullo sghignazzare delle viscere, del ventre ebbro che nel proprio ombelico vede un fallo.

Per una casualità della storia, se vogliamo, nella tradizione cattolica europea tra i portatori della cultura della comicità vi furono anche alcuni rappresentanti del clero. Si tratta di un fenomeno unico, da cui sono derivate molte cose importanti, ed è possibile che il radicalismo della libertà europea sia dovuto proprio a questa circostanza. Ma questo è un tema a parte.

Nella cultura musulmana la comicità popolare è sviluppata non meno che in Europa: basti pensare al teatro turco delle marionette (che tra l'altro è fortemente osceno), oppure a Hodja Nasreddin. Per quanto mi è noto, però (ammetto di poter sbagliare), le tradizioni della comicità bassa in questi casi riguardano i sultani, i visir, i mercanti e i mullah, ma non il Profeta, i santi califfi o le leggi della sharia. Non esiste questa tradizione, gli sceicchi non furono mai portatori della cultura comica, qualunque ne fosse il motivo. Del resto, anche la cristianità ortodossa non ha generato la tradizione culturale di una comicità avente per oggetto Dio. Il lubòk russo (l'arte delle illustrazioni popolari, ndr) è estremamente scabroso, ma non vi si trovano battute sul tema dell'Immacolata Concezione.

La terribile uccisione dei caricaturisti da parte di due fanatici islamisti viene interpretata come uno scontro tra la barbarie e la moderna libertà europea. Io sono d'accordo sul fatto che l'uccisione è stata orribile; ieri sono andato davanti all'Ambasciata francese e vi ho deposto dei fiori; sono d'accordo sul fatto che abbiano sparato sulla libertà europea, ma non su quella contemporanea. Se si considera la questione con lo sguardo distaccato dello studioso di culture, si tratta di uno scontro tra due Medioevi. È un dramma della reciproca incomprensione tra due tradizioni antiche che stanno al centro di una coscienza nazional-religiosa, non di una coscienza contemporanea. Semplicemente, in una tradizione si può e si deve cacciare sotto gli occhi di Dio il proprio sedere nudo, dal momento che egli ti ha condannato a essere mortale, mentre nell'altra no, assolutamente no, perché non puoi mostrare il tuo corpo impuro a colui che ti ha dato l'anima. La morte è una cosa seria; culture diverse elaborano diverse strategie in risposta ad essa, e una volta che le hanno elaborate vi si attengono.

Da questo punto di vista, vogliate perdonarmi, qui non ci sono malvagi. Qui c'è un dramma shakespeariano con due princìpi, due protagonisti, ciascuno dei quali va incontro alla morte per il diritto di essere se stesso. Pensate forse che quei due pazzi non sapessero che cosa li aspettava dopo ciò che avevano commesso? Pare che essi abbiano lasciato appositamente all'interno della macchina una sorta di biglietto da visita; allo stesso modo, in un'altra epoca, i terroristi russi restavano sul luogo dei loro attentati dopo averli compiuti, per rispondere con la propria vita della loro tremenda verità. Nelle loro barbare, su questo sono d'accordo, barbare concezioni, vi è l'idea che sia meglio morire piuttosto che tollerare un'offesa contro Dio. Nel Medioevo accade questo.

Voi sapete bene che gli sventurati disegnatori uccisi comprendevano benissimo il rischio di ciò che stavano facendo. Ma loro stavano lì, e non potevano fare altrimenti.

E alla fine muoiono tutti. Ma questo non è uno spettacolo teatrale, e ciò non è ammissibile.

A me sembra che elevando questo episodio a difesa del sacro principio della libertà di parola noi esasperiamo la situazione. Rendiamo questa guerra inevitabile. Vi è differenza tra il Leviatano e un giullare. Una cosa è dare battaglia allo stato, a ciò su cui si fonda, ai suoi meccanismi, alla costituzione, quando ci si rende conto che tutto ciò è stato costruito per offendere Allah. Questa è una causa seria, per la quale si può anche sacrificare la vita. Altra cosa è sacrificare la vita per uccidere un giullare. È semplicemente sciocco. Un guerriero non lotta contro i giullari, perché in una simile vittoria non c'è onore. È ridicolo muovere in armi contro un sedere nudo: comunque lo si colpisca, si finisce nella merda.

Questo articolo di Grigorij Revzin è stato pubblicato in lingua russa sul suo account di Facebook. Lo pubblichiamo qui in versione ridotta, con il consenso dell'autore

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