Ucraina al voto: molti conflitti, nessuna soluzione

Vignetta di Alexei Iorsh

Vignetta di Alexei Iorsh

La fine del regime di Yanukovich è completa. Ma i problemi, secondo l’esperto, restano irrisolti

Il conteggio finale delle elezioni del parlamento in Ucraina ancora non c’è, ma l’evidente successo del Fronte Popolare (People’s Front, PF), una coalizione di sostenitori radicali che vogliono imporre una soluzione ai problemi dell’integrità territoriale dell’Ucraina, quasi certamente è il risultato più sorprendente. Secondo i primi dati, infatti, il Fronte Popolare a capo del quale ci sono il primo ministro Arseny Yatsenyuk e il portavoce dell’ex Rada, Olexandr Turchynov, sarebbe in testa con un esiguo vantaggio e il 21,6 per cento dei voti. La forza politica del presidente Poroshenko (il Blocco Petro Poroshenko, o BPP) si colloca subito dietro, al secondo posto con il 21,5 per cento delle preferenze. Gli altri partecipanti alle elezioni della Rada, il parlamento, hanno tutti ricevuto la loro percentuale di voti, collocandosi sopra la soglia del 5 per cento indispensabile per ottenere seggi in parlamento (il partito Batkivshchina di Yulia Tymoshenko, il Partito Radicale di Oleh Lyashko, il Blocco dell’Opposizione capeggiato da alcuni rappresentanti dell’ormai defunto regime di Yanukovych), tranne il Partito Comunista e il Partito delle Regioni.

Vacilla anche Svoboda, il partito di ultra destra che fino al 2004 si chiamava Partito nazionalsocialista ucraino, dato che si è piazzato poco sopra la soglia del 5 per cento dei voti. Un nuovo importante vincitore è Samopomoch, il partito di Andriy Sadovyy, sindaco della città di Lviv, nell’Ucraina occidentale, che ha rastrellato l’11 per cento dei voti. “In linea generale, la nuova Rada sarà più nazionalista e meno disposta al compromesso con la Russia, dato che Yatsenyuk è considerato un sostenitore della linea dura nei colloqui con la Russia” dice Vladimir Fesenko, capo del centro Penta per le analisi politiche con sede a Kiev. Più piccola e più nazionalista I risultati elettorali paiono riflettere una nuova versione di Ucraina, più piccola e più nazionalista.

Le elezioni non si sono svolte nelle aree ucraine più densamente popolate, le regioni russofone di Donetsk e di Luhansk, che restano sotto il controllo della Repubblica popolare di Donetsk anti-Kiev (DNR) e della Repubblica popolare di Luhansk (LNR). Nelle aree di quelle regioni in mano all’esercito ucraino, l’affluenza alle urne è stata del 26 per cento circa degli aventi diritto al voto. Sia DNR sia LNR si rifiutano di riconoscere il risultato elettorale e dicono di voler indire proprie elezioni per il 2 novembre. Nelle altre regioni a predominanza popolare russofona (come Odessa e Kharkiv) la partecipazione al voto non è stata molto più alta. In Ucraina complessivamente si è recato alle urne il 51 per cento degli aventi diritto.

La nuova Rada sarà riconosciuta da tutti i paesi stranieri, Russia compresa (sia il Cremlino sia il ministero russo degli Affari esteri si erano già impegnati formalmente a riconoscere i risultati delle elezioni). Gli esperti però dicono che ciò non significa che con la nuova Rada la strada verso una soluzione politica del problema dell’integrità territoriale ucraina sarà più facile. “Ora che i sostenitori della linea dura sono non soltanto al governo, ma anche in parlamento, è molto difficile immaginare un modo pacifico per arrivare ad avere un’Ucraina unita all’interno dei confini che essa aveva prima del febbraio 2014” dice Mikhail Pogrebinsky, responsabile del Centro di ricerca sulle situazioni politiche e di conflitto con sede a Kiev. “Né la Crimea né Donbass, entrambe aree ribelli dalla popolazione a maggioranza russofona, torneranno di loro spontanea volontà in uno stato unitario, poiché non si sentono rappresentate dal parlamento. Perfino il Blocco dell’Opposizione, che è fortemente critico nei confronti dell’operato di Poroshenko, è al momento la fedele opposizione del presidente. Nel suo programma non c’è riferimento al programma di federazione”.

 
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In verità, i vincitori del voto di domenica scorsa – i partiti capeggiati da Poroshenko, Tymoshenko e Yatsenyuk – potrebbero essere buoni partner per l’Ue, ma si sono già inimicati le popolazioni di Crimea e Donbass. Mesi di guerra civile e molteplici ritardi nei bonifici per i salari e le pensioni degli abitanti di queste aree fanno sì che molti a Donetsk e Luhansk considerino responsabili di questi disastri i nuovi leader ucraini. Ciò potrebbe spiegare perché nella città di Mariupol in mano all’Ucraina, un porto russofono nella regione di Donbass, il Blocco dell’Opposizione abbia conquistato oltre la metà dei voti. Il brutto presagio per l’unità dell’Ucraina è che gli elettori del Partito delle Regioni (PR) e del Partito Comunista ucraino (CPU), da tempo i prediletti a Donbass, non sono stati rappresentati alle urne in alcun modo concreto (dato che i loro candidati o non si sono presentati o non hanno superato la soglia del 5 per cento). Milioni di persone a Donbass e in altre regioni sono state semplicemente impossibilitate a votare per il loro solito candidato.

Nel 2010 gli elettori in queste regioni erano stati abbastanza forti da garantire a Yanukovych la vittoria su Yulia Tymoshenko con 8.6 milioni di voti e nel 1999 quasi 6 milioni di ucraini avevano votato per il Partito Comunista guidato da Petro Simonenko. Hanno tutti cambiato opinione dopo Maidan? Forse, soprattutto se si tiene conto che per molte persone la vita in Ucraina non è certo migliorata da quando Yanukovych a febbraio ha lasciato il paese. Le ragioni per boicottare PR e CPU alle elezioni possono essere varie e se ne potrebbe discutere a lungo: i “non candidati” stessi spiegano tale decisione con le pressioni esercitate dalle autorità e dai gruppi nazionalisti “attivisti”, mentre i nuovi governanti ucraini sospettano entrambi i partiti di collaborare con la Russia (il presidente filo-Maidan del parlamento, Olexander Turchynov, è addirittura arrivato a far espellere la fazione comunista dalla Rada e ha esercitato pressioni affinché il CPU ne fosse escluso). Un conflitto cronico Con l’elezione della nuova Rada, la fine del vecchio regime – incarnato dall’ex presidente Viktor Yanukovych, che ora vive in esilio in Russia – è completa. Ciò non significa un nuovo inizio per il triangolo Kiev-Ue-Mosca, dove le tensioni hanno raggiunto l’acme nell’estate scorsa.

“L’incapacità politica di fare ritorno a un’Ucraina unita crea il giusto terreno per un conflitto cronico tra la Russia e l’Ue”, dice Pogrebinsky. “La cancelliera tedesca Angela Merkel considera le elezioni a Donbass approvate da Kiev il prerequisito fondamentale per togliere le sanzioni imposte dall’Ue alla Russia. Il conflitto interno ucraino adesso può essere risolto soltanto fuori dal paese”. Nemmeno l’esclusione virtuale del Partito delle Regioni di Yanukovych promette bene. Il Blocco dell’Opposizione creato in tutta fretta, con alcuni dei leader del PDR, ha ottenuto circa il 10 per cento alle elezioni di domenica, ma gli esperti dubitano che esso possa efficientemente rappresentare l’est nelle attuali circostanze. Le leggi di epurazione nei confronti dei rappresentanti del ‘vecchio regime’ imposte dal vecchio parlamento proprio prima delle elezioni, non serviranno a molto. “Le nuove leggi fanno sembrare particolarmente benevole le misure draconiane di Yanukovych” dice Kost Bondarenko, capo della Fondazione per la politica ucraina con sede a Kiev. “Maidan non solo ha dato poteri all’ex opposizione, ma ha anche garantito che qualsiasi forza politica all’opposizione sarà rimossa”.

Le elezioni possono anche aver cambiato il panorama politico ucraino, ma hanno fatto poco per risolvere il conflitto. La parte russa considera di aver fatto passi avanti nei confronti delle posizioni di Stati Uniti e Unione europea ritirando le proprie unità militari dai confini con l’Ucraina e riconoscendo il risultato elettorale. Putin comunica con Poroshenko. Ma è indispensabile trovare una roadmap verso una risoluzione duratura del conflitto. Dmitry Babich è un columnist della radio La voce della Russia.

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