Mosca sempre più lontana dall’Occidente?

Vignetta di Konstantin Maler

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Il maxi contratto firmato con la Cina è sintomo di importanti cambiamenti nelle posizioni della Russia

Il contratto sulla fornitura del gas russo alla Cina, siglato il 21 maggio nel corso della visita del Presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin a Shangai, ha avuto un impatto clamoroso. Per non parlare di quanto appaia estremamente giusto il momento della sua stipula, con l’Occidente che continua a insistere sulle sanzioni indirizzate a Mosca a causa delle vicende ucraine. Ma tutte queste circostanze di contorno non devono offuscare l’aspetto principale. Il presente contratto è il simbolo di importanti cambiamenti nelle posizioni della Russia: è il ritorno al Pacific Rim, annunciato da Putin due anni fa durante il summit dell’APEC a Vladivostok.

I vantaggi per la Cina

Sebbene l’affare stesso si possa considerare un successo, grazie a Dio, della Russia, dei benefici per la Cina se ne parla di meno. La Cina è disposta a pagare il gas russo 400 miliardi di dollari nell’arco di 30 anni. Ma questa è sola la prima parte del mega-progetto. Al momento si parla di esportare 30 miliardi di metri cubi all’anno di gas dai giacimenti vicini al Bajkal. Più o meno, è quanto compra ora l’Ucraina dalla Russia. Tuttavia, secondo le dichiarazioni di Putin, il presente contratto apre la strada a nuovi accordi per l’esportazione in Cina di gas proveniente dai giacimenti della Siberia Occidentale, attraverso il cosiddetto “percorso occidentale”, ossia il gasdotto “Altai”. La portata e il periodo delle forniture grosso modo si equivalgono.

In primo luogo, la Cina può risolvere il problema del consumo interno di gas per un decennio. In generale le sue riserve sono insufficienti anche tenendo conto dell’estrazione del gas di scisto. L’importazione di GNL dal Qatar e dall’Indonesia è più costosa e, soprattutto, vulnerabile, dato che avviene per quelle vie marine controllate dall’America. E non bisogna dimenticare che il gas per la Cina è fondamentale anche in vista della lotta allo smog causato dalle centrali a carbone, che da un punto di visti puramente ecologico sta diventando sempre di più un problema politico interno.

In secondo luogo, Pechino, anticipando il Giappone e la Repubblica di Corea, si riserva non solo le più imponenti provviste di gas del Pacific Rim, ma viene inclusa nella creazione del sistema di distribuzione del gas in Asia Nord-Occidentale, che presto sarà paragonabile a quello europeo.
 
Da questa prospettiva, il braccio di ferro russo-americano per l’Ucraina sembra un episodio trascurabile nella lotta globale per la sfera di influenza. Allo stesso modo, dopo essersi legata alle risorse energetiche russe, la Cina oppone ancora più visibilmente una resistenza strategica alla pressione americana nella regione. 

Il più grande cantiere

Tutto questo è proprio ciò di cui parlò due anni fa il Presidente Putin al summit dell’APEC a Vladivostok. “Noi rafforzeremo la sicurezza energetica non solo della Russia, ma anche dei paesi dell’intera regione con cui collaboriamo”, evidenziò il Presidente parlando agli uomini d’affari della regione. Allo stesso tempo, gli obiettivi di tale politica sono più ampi.

“Per noi, l’entrata definitiva nello spazio del Pacific Rim è un’importantissima garanzia per un futuro di successo del Paese, che comprende lo sviluppo delle regioni della Siberia e dell’estremo oriente russo”, aveva annunciato Putin alla vigilia del summit in un articolo pubblicato nella versione asiatica del Wall Street Journal. Il 21 maggio a Shangai si è realizzata questa entrata definitiva.

Subito dopo la stipula del contratto in Cina, il Presidente russo ha dichiarato ai giornalisti: “Sarà il più grande cantiere del mondo per i prossimi 4 anni, e non esagero. La mole totale delle risorse estratte, è comprovato, consisterà in tre trilioni di metri cubi di gas. In realtà ce n’è anche di più. Questa è la fornitura di gas che assicureremo per circa 50 anni sia al mercato interno che estero”. Sottolineando che tale imponente lavoro richiederà il rinnovamento dell’intera infrastruttura siberiana, Putin ha fatto notare: “È un grande evento nel settore del gas non solo per l’energia russa, ma anche, senza esagerare, per l’energia mondiale, e ovviamente per l’Asia”.

E gli altri?

Analogamente, il contratto di Gazprom con la Repubblica Popolare Cinese non lascia indifferenti gli altri giganti energetici della Russia. Rosneft è pronta a costruire i suoi gasdotti principali nella Siberia Orientale, ha fatto sapere ai giornalisti il direttore della compagnia Igor Sechin. “Stiamo potenziando una serie di nuovi giacimenti in Siberia Orientale: si tratta di Suzun-Tagul, Lodochnoe, Taas-Yuryaskoe, tutte riserve di gas. È ovvio che contiamo di avere la possibilità di trasportare e monetizzare il gas prodotto da questi giacimenti. Il volume estratto è discreto: si aggira attorno ai 16 miliardi di metri cubi all’anno, volendo anche 20”, ha reso noto il direttore di Rosneft.

La questione ora è su come reagiranno le compagnie energetiche del Giappone, dove in seguito all’incidente nella centrale di Fukushima-1, il ritorno all’energia atomica sta diventando un fastidioso problema per la politica interna del paese. Tokyo, a malincuore, si è unita alle sanzioni internazionali nei riguardi della Russia, anche se l’atteggiamento del Giappone verso le questioni di sicurezza energetica è sempre stato particolare, basti pensare ai rapporti con l’Iran.

Aleksandr Pasechnik, specialista del Fondo nazionale per la sicurezza energetica, fa notare che la Siberia dispone di enormi riserve di gas e che ancora non si vede molta concorrenza. Una questione a parte è se questi grandi progetti di infrastrutture siano attraenti dal punto di vista della collaborazione tecnica e degli investimenti da parte dei paesi. “Allo stesso tempo il reindirizzamento delle risorse di gas dalla parte occidentale della Siberia a quella orientale dovrebbe preoccupare i paesi europei che da quelle fonti ricevono il gas. Ciò potrebbe essere per loro un problema”, sostiene l’esperto.

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