La lezione del XIX secolo

Vignetta di Alexei Iorsh

Vignetta di Alexei Iorsh

La crisi ucraina è sintomo del caos concettuale e giuridico che regna in ambito internazionale. Secondo il politologo Fedor Lukjanov, ci sarebbe bisogno di una diplomazia più genuina, che le potenze mondiali dovrebbero riscoprire sui libri di storia

A giudicare da quello che sta avvenendo in Ucraina, si può affermare che la discussione sui principi dell’ordine mondiale è entrata in una nuova fase. Il Segretario di Stato americano John Kerry ha rinfacciato alla Russia di operare "in uno spirito tipico del XIX secolo”, adducendo che le questioni internazionali, oggigiorno, vengono risolte in un modo completamente diverso. Sarà anche così, ma in che cosa consisteva esattamente questo "spirito del XIX secolo"?

Dal punto di vista del diritto internazionale, il XIX secolo ebbe inizio con il Congresso di Vienna del 1814-1815. Una maratona di negoziati a cui parteciparono i monarchi delle principali potenze europee (Alessandro I di Russia, Francesco I d'Austria) e i diplomatici e gli statisti più importanti di quel tempo (Metternich, Talleyrand, il Duca di Wellington, ecc.) con lo scopo di ridisegnare la carta dell’Europa, dopo gli sconvolgimenti apportati dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. L’Ancien régime era stato scosso alla fine del XVIII secolo a seguito dello scompiglio generato, sulla scena politica europea, dalla rivoluzione francese. Il fervore rivoluzionario, temutissimo dai regimi conservatori, era poi degenerato in un’espansione geopolitica di Parigi, che aveva portato le grandi potenze a unirsi contro Napoleone.

Il secolo “politico” durò quasi cent’anni. Dopodiché, il sistema di Vienna, nato con il Congresso, crollò nell’agosto del 1914, quando i contrasti tra i Grandi dell’Europa, i loro appetiti coloniali e gli sfoghi di sciovinismo portarono allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Fu così che, in sostanza, si concluse la "buona vecchia Europa" e con lei l'epoca d'oro della diplomazia classica.


L'importanza del Mar Nero

Il XX secolo fu segnato da diverse catastrofi: due guerre mondiali, il crollo degli imperi, l'ascesa e successiva caduta delle ideologie totalitarie e numerosi stermini di massa. La Guerra Fredda, nonostante fosse un confronto militare e ideologico globale, si rivelò tutto sommato un’epoca di calma. Il faccia a faccia tra Unione Sovietica e Stati Uniti sulla questione delle armi nucleari e la minaccia di uno sterminio totale reciproco garantirono una stabilità senza precedenti, mentre le prove di forza, nella periferia della politica mondiale, rimasero, nel complesso, sotto il controllo dei “grandi capi”. Un controllo che, tuttavia, non sopravvisse alla fine del conflitto.

In questo contesto, lo "spirito del XIX secolo" assomiglia in un certo senso alla città perduta di El Dorado. Tra il 1815 e il 1910, l'Europa evitò grandi scontri tra i maggiori Stati. Ciò, però, non si tradusse nella totale assenza di concorrenza spietata o di conflitti armati (basti ricordare la guerra di Crimea, quella franco-prussiana o il conflitto russo-turco). L'essenza del "Concerto delle nazioni", convocato dopo Vienna, consisteva, tuttavia, nel fatto che le grandi potenze, in caso di contrasti, erano in ogni caso in grado di ristabilire l’equilibrio mediante la via diplomatica. Al termine di ogni crisi, i rapporti tra gli attori chiave venivano “precisati” e le condizioni dell’equilibrio “aggiustate”. Fu quello che successe nel 1856 al Congresso di Parigi (dopo la guerra di Crimea), nel 1871 alla Conferenza di Londra (dopo la guerra franco-prussiana), e nel 1878 al Congresso di Berlino (dopo la guerra russo-turca).

Il “Concerto delle nazioni” cadde, nonostante tutto, in rovina, a causa di una serie di ragioni obiettive. La politica mondiale aveva smesso di essere sinonimo di politica europea. Lo sviluppo burrascoso del capitalismo, la prima ondata di globalizzazione e l’espansione coloniale avevano ampliato il terreno di gioco e aumentato la posta in gioco. Le agitazioni interne di ciascuna potenza continentale erano aumentate, il che rese ancor più complicato il mantenimento dell’equilibrio.

Duecento anni dopo l’inaugurazione del Congresso di Vienna e cento anni dopo la Prima Guerra Mondiale sembra che ciò che manca oggi è proprio ciò che distinse il XIX secolo.

Dopo i cataclismi della prima metà del secolo scorso e dopo la stabilità congelata della seconda metà, è arrivato il tempo della libertà, in tutti i sensi del termine. La libertà come concetto ideologico, centrale per la visione americana del mondo. E la libertà dalle regole e dalle restrizioni internazionali del passato. In un primo momento, sembrava che questo secondo tipo di libertà riguardasse solo i vincitori del conflitto, ovvero gli Stati Uniti e l'Occidente. Ma, poco a poco, si è scoperto che la libertà è universale. A misura che si verificava un’erosione delle norme e si diffondeva la tendenza ad agire secondo la propria discrezione, il palcoscenico internazionale è diventato un po’ più libero per tutti. E il monopolio, tanto a livello economico quanto di potere, dell’Occidente, agli inizi del XIX secolo, non sembrava già più così impressionante come quindici anni prima. In altre parole, Washington e i suoi alleati non erano già più in grado di obbligare gli altri a seguire le loro direttive.

La crisi ucraina è, in parte, una manifestazione del caos concettuale e giuridico che regna ora in campo internazionale. Una manifestazione chiara e sintomatica, che mostra che ciò di cui si ha bisogno oggi è proprio una diplomazia genuina, altamente professionale, che rifletta questo spirito del XIX secolo, una diplomazia che tutti hanno studiato sui libri di testo, ma di cui tutti sembrano essersi dimenticati nella pratica. Di fatto, dopo la Guerra Fredda, la necessità di compromessi e di un allineamento degli interessi è venuta apparentemente a mancare: il vincitore poteva definire il grado di responsabilità dei partecipanti ai conflitti locali e ciò che era necessario per “ripristinare la giustizia”. Tuttavia, oggi, anche questo modello è venuto meno: anche le nazioni più forti del mondo non hanno abbastanza forza e abilità.

Il difetto principale del mondo contemporaneo è un totale squilibrio, in tutto: a livello di opportunità, interessi e percezioni reciproche. "Lo spirito del XIX secolo" è utile per poter prendere delle decisioni diplomatiche sulla base di un semplice calcolo e nel rispetto dell’etichetta nei rapporti con gli avversari, senza l’esaltazione ideologica ereditata dal XX secolo. Il mondo ha bisogno di un “Concerto globale delle nazioni” e i suoi direttori dovrebbero seguire uno spartito classico, nonostante l'orchestra sia moderna.

Fedor Lukjanov è presidente del Consiglio per la politica estera e la difesa

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