Ucraina, l’ultima battaglia della Guerra Fredda?

Vignetta di Sergei Elkin

Vignetta di Sergei Elkin

Le ripetute crisi regionali incidono sull'ordine mondiale. Tra i timori dell’Occidente e le rivendicazioni della Federazione

Gli ultimi sviluppi in Ucraina – piazza Maidan filo-europea, il rovesciamento del presidente Viktor Yanukovich, la secessione della Crimea, le sommosse nella parte orientale – segnano l’inizio di una nuova fase per le relazioni tra Occidente e Russia. Pur essendo poco probabile che la faccenda sfoci in un conflitto armato, resta infatti da capire dove passerà la nuova linea di confine tra la nuova Russia e l’Europa. La caduta del blocco sovietico e della stessa Urss rappresentò la conclusione della “Guerra fredda”.

Gli Stati dell’Europa centrale e orientale, entrati nell’organizzazione del Patto di Varsavia, a piccoli passi sono confluiti nell’Ue e nella Nato. Le ex repubbliche sovietiche sono in fila d’attesa per fare altrettanto. Il fatto è che questi organismi internazionali si sono espansi a tal punto da raggiungere le frontiere della nuova Russia. Nondimeno, in Occidente resta la paura che l’Urss possa rinascere. Ne ha parlato ufficialmente anche Hillary Clinton quando ha lasciato la carica di segretario di stato degli Stati Uniti. Secondo lei, la nuova Urss potrebbe essere fatta rinascere sotto nuovo nome, quello di “Unione doganale” o “Unione euroasiatica”.

L'Ucraina dopo piazza Maidan

Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha formulato quest’idea con ancora maggiore chiarezza quando ha detto che “senza l’Ucraina, la Russia smetterà di essere un impero. Con l’Ucraina lo diventerà automaticamente…”. Zbigniew Brzezinski è di sicuro un personaggio noto, ma come tutti non è al riparo da errori. In effetti la storia non riporta esempi di un impero che, una volta crollato, sia rinato. La nuova Russia non sarà dunque mai l’Unione Sovietica o l’Impero Russo. Non vi sono i presupposti ideologici né le condizioni politiche perché questo accada. Tuttavia, Mosca effettivamente ha voluto far rinascere i rapporti economici con le ex repubbliche sovietiche.

Il fatto è che la Russia è limitrofa a due centri dell’economia mondiale, l’Unione europea e la Cina, i cui mercati sono molto più grandi a confronto di quelli della Russia. È possibile che Putin sia disposto ad allearsi a uno dei questi due colossi dell’economia come partner su un piano di totale uguaglianza. Ma nessuno glielo ha chiesto. E a Mosca nessuno ha voglia di diventare un satellite energetico di uno dei due.

Da qui è nata l’idea di uno Spazio economico comune (Sec), un mercato comune dei prodotti commerciali, dei capitali, dei servizi e dei popoli, a cui hanno dato vita Russia, Kazakhstan e Bielorussia. L’Armenia e il Kirghizistan si apprestano a entrare in questa compagine di integrazione, e i documenti per l’Unione dovrebbero essere pronti a maggio. Tuttavia, senza l’Ucraina, senza i suoi 45 milioni di abitanti, senza la sua industria avanzata, la Sec non avrà un mercato di ampiezza tale da permetterle di competere con altri centri economici.

Gli Stati Uniti e l’Ue, che di volta in volta si contendono l’Ucraina nelle rispettive aree di influenza, se ne rendono perfettamente conto. L’accordo di associazione che avrebbe fermato la strada dell’integrazione euroasiatica con la Russia doveva essere la tappa conclusiva di questo iter. Invece, la firma prevista per la fine di novembre dell’anno scorso al summit dell’Ue a Vilnius non c’è stata. Il presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovich a quanto sembra ha deciso di nuovo di mercanteggiare, e di farlo contemporaneamente sia con l’Ue sia con la Russia, e ha rimandato la firma nella speranza di ottenere un bonus dalla Russia sotto forma di crediti e di sconti sul gas. Ma Yanukovich ha lasciato il potere quasi senza opporre resistenza sotto le pressioni di piazza Maidan, nella quale si erano riversati i sostenitori dell’integrazione dell’Ucraina all’Europa. Coloro che l’hanno sostituito hanno rapidamente messo in atto un allineamento occidentale dell’Ucraina, mettendo Mosca di fronte a una scelta fatidica. Il problema è che le immaginarie paure americane ed europee al riguardo di una rinascita dell’Urss hanno avuto ripercussioni non soltanto sulle pressioni economiche, ma anche sui problemi di sicurezza della Russia.

Ucraina, il vicolo cieco

Dopo la caduta dell’Urss, la Nato all’improvviso si è allargata grazie ai Paesi dell’Europa orientale e alle ex repubbliche sovietiche baltiche, ed è arrivata a confinare con la frontiera russa. Senza contare che il suo terreno d’azione va ben oltre l’Atlantico: la Nato è presente in Africa (Libia), in Medio Oriente (Iraq) e in Asia centrale (Afghanistan). Gli strateghi russi non crederanno mai che non arrivino minacce dalla Nato, e a maggior ragione si preoccupano ancor più per la prospettiva di un’installazione in territorio ucraino di sistemi americani di difesa antimissile che potrebbero polverizzare il principale asset militare russo, i missili terrestri.

Infine, è difficile per Mosca ammettere che l’Ucraina - che insieme alla Russia rappresenta la struttura portante della civiltà slavo-ortodossa - passi sotto l’influenza atlantica dell’Occidente. Tenendo conto dei contatti personali davvero molto forti tra gli abitanti dei due paesi, che per 350 anni sono stati tutt’uno, il “distacco” dell’Ucraina diventa il problema più importante della politica interna della Russia. È per questo che la reazione di Mosca nei confronti dei desideri degli abitanti russofoni della penisola ucraina di Crimea, vale a dire del 90 per cento della popolazione, di diventare parte integrante della Russia non ha alternative. L’esito del referendum degli abitanti della Crimea, fissato per il 16 marzo, a questo riguardo è certo. L’Occidente forse comprende bene anch’esso che il “distacco” dell’Ucraina è estremamente spiacevole per la Russia e che in tali circostanze la riunificazione della Crimea con la Russia è stata considerata alla stregua di un “premio di consolazione”. In caso contrario, è davvero inspiegabile la debole reazione dell’Occidente.

L’Unione europea ha respinto le trattative volte ad alleggerire il regime dei visti con la Russia e a preparare un nuovo accordo-quadro di collaborazione. In realtà, questa non è la prima volta che si arriva a uno stallo. La minaccia di non prendere parte al vertice dei G8 a Sochi è già stata formulata. Si tratta di un piccolo contrattempo, per ora. E mentre le sanzioni economiche non sono state messe in atto, gli Stati Uniti parlano di sanzioni rigorose sui visti contro i funzionari russi. Ma l’elenco non è pronto. La cooperazione militare è congelata: nelle corse ed esercitazioni dei carri armati nei dintorni di Mosca non si vedranno militari americani. Anche la visita di quattro esperti russi di agricoltura negli Stati Uniti è stata cancellata.

Già, nessuno vuole dover sostenere perdite economiche e arrestare il corso dei negoziati con Mosca quando i problemi di Siria, Iran e Afghanistan sono ancora sul tavolo. Ma la Crimea è soltanto una componente della crisi. Davvero molto piccola. Per esempio, resta ancora da far luce per capire che ne sarà delle regioni orientali dell’Ucraina, dove molti cittadini russi non desiderano sottomettersi a un governo filo-occidentale. Ancora più importante, tuttavia, è analizzare come potrebbero evolvere le relazioni tra Russia e Occidente.

In realtà, a quanto pare nessuna delle due controparti si è mai sbarazzata del tutto della mentalità da “Guerra fredda”. E infine c’è il problema della costituzione di un nuovo ordine mondiale: che ve ne sia la necessità lo dimostrano le crisi in Medio Oriente, Africa del Nord e adesso anche Ucraina.

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