Vignetta di Alexei Iorsh
Al termine delle tre giornate di colloqui sulla Siria tenutesi a Ginevra dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e dal segretario di stato Usa John Kerry, Russia e Stati Uniti tirano le somme. Il presidente americano Barack Obama in un discorso alla Nazione ha affermato che vi sono stati dei progressi e che è necessario portare avanti le consultazioni diplomatiche. Lavrov ha definito "ottimi" i risultati delle trattative: le parti si sono accordate sulla distruzione delle armi chimiche di Damasco: un’operazione che dovrà avvenire "con la massima rapidità"; i documenti "sono stati redatti in maniera professionale" e l'inutile retorica è stata messa da parte.
John Kerry ha persino indicato tempi concreti: "Il nostro obiettivo è concludere il lavoro entro la metà del 2014 - ha annunciato il segretario di stato -. Gli impianti per la produzione di armi chimiche dovranno essere distrutti entro novembre". In verità, non sarà facile riuscirvi.
Non esistono informazioni precise né sul luogo né sulle modalità di conservazione di queste armi: nei proiettili di artiglieria, nelle testate dei missili del sistema "Grad" o dei missili tattici e tattico-operativi, in barili o in recipienti da cui versare le sostanze, appesi sotto le ali dei bombardieri. Saranno necessarie delle verifiche, e ciò richiede tempo.
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Siria, il cammino verso la pace passa per Ginevra? |
Un altro problema: la Siria ha accettato di mettere le sue armi chimiche sotto il controllo internazionale, ma chi e come effettuerà questi controlli? La Russia, gli Stati Uniti, i Paesi della Nato, i Paesi arabi, la Cina? Ma la comunità internazionale, divisa da atteggiamenti diversi e spesso opposti nei confronti della guerra civile e religiosa in Siria, è pronta a questa disponibilità da parte siriana?
Ma c'è di più. Poniamo che tutti si mettano d'accordo (il che richiederà un periodo piuttosto lungo), e che le armi chimiche siriane siano messe sotto controllo. Per distruggerle è necessario costruire un apposito impianto. Affondarle nell'oceano o bruciarle, trasportarle in un altro luogo dove vi siano le capacità industriali e le competenze per smaltire questo tipo di rifiuti velenosi è praticamente impossibile. È molto pericoloso, e in tempo di guerra sarebbe una follia.
Secondo Aleksandr Gorbovskij, esperto della Croce Verde russa, membro del Consiglio Internazionale di consulenza scientifica per le armi chimiche sommerse e del Comitato Internazionale di consulenza scientifica per la sicurezza chimica, la prima cosa che dovrà fare la Siria dopo aver accettato di consegnare le proprie armi chimiche sotto il controllo delle forze internazionali è sottoscrivere la Convenzione sulla messa al bando delle armi chimiche e, secondo la procedura vigente, consegnare tutte le sostanze tossiche per uso bellico al controllo dell'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac). L'organizzazione si assumerà la responsabilità della loro messa in sicurezza e del successivo smaltimento.
Anche l'esperto Zinovij Pak, ex ministro dell'Industria militare ed ex direttore generale dell'Agenzia russa per le munizioni militari, è d'accordo con Gorbovskij. Il momento conclusivo della consegna delle armi chimiche siriane sotto il controllo internazionale coinciderà con il riconoscimento che tutti gli armamenti sono stati dichiarati, spiega Pak. "Se resterà anche solo il minimo dubbio, ciò porterà a un'interminabile discussione e si tornerà alle minacce", mette in guardia l'esperto.
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La questione siriana verso un epilogo? |
"Sarà un processo lungo, ma se questo processo riuscirà davvero a fermare le uccisioni di massa dall'una e dall'altra parte, ne saremo grati a Dio. Probabilmente si tratterà del primo caso in cui le armi chimiche avranno avuto un ruolo positivo nell'arrestare un conflitto armato", afferma l'ex ministro.
Zinovij Pak sottolinea in maniera particolare che tutto il lavoro dovrà essere condotto sotto l'egida dell'Opac. "A oggi non esiste un altro meccanismo e non si può crearlo in tempi brevi". Secondo l'esperto, gli ispettori dell'Opac potranno ispezionare praticamente qualsiasi obiettivo militare, dichiarando che sospettano che vi siano custodite delle armi chimiche. "E bisognerà dimostrare che in quel luogo non vi sono armi chimiche; tutto ciò richiederà tempo", spiega l'ex ministro.
L'accordo tra Russia e Usa sul disarmo chimico siriano implica anche un altro aspetto. Si verrà a creare un precedente grazie al quale la pressione esercitata su Damasco potrà essere esercitata anche su altre "capitali indocili". Lo scenario, secondo le supposizioni di alcuni esperti di politica internazionale, potrebbe essere il seguente: dapprima, in uno Stato in cui vi sono delle armi di distruzione di massa, chimiche o nucleari, con l'aiuto di forze d'opposizione esterne o interne si genera il caos, che porta poi a una guerra civile. Si forma una coalizione disposta, con il pretesto di salvare il popolo da un dittatore, a condurre un'azione militare umanitaria con l'obiettivo di liberare il Paese dalle riserve di armi di distruzione di massa, e al tempo stesso di rovesciare il regime sgradito.
Poi, con una delibera del Consiglio di sicurezza dell'Onu, o qualora il Consiglio non fosse d'accordo, anche aggirando la sua risoluzione come fu fatto nel 2003 nel caso dell'Iraq, l'operazione viene messa in atto.
Per ora la Siria non ha subito questo destino. C'è però l'Iran, che è sospettato di proseguire le sue attività per la realizzazione di armi nucleari. C'è anche il Pakistan, dove i terroristi di Al Qaeda sono sempre più vicini alla produzione di armi nucleari. C'è il problema della Corea del Nord, che sta lavorando alla creazione di missili nucleari e che, secondo alcune stime, possiederebbe delle riserve di armi chimiche (Pyongyang, tra l'altro, è uno dei pochi Paesi che non hanno firmato la Convenzione sulla messa al bando e la distruzione delle armi chimiche). Pertanto, il precedente siriano potrebbe cedere il passo a nuove prospettive.
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