Vignetta di Niyaz Karim
I rapporti altalenanti tra Usa e Russia si sono fatti, negli ultimi anni, sempre più freddi, portando la politica del reset (perezagruzka, in russo) a un punto di rottura. Il culmine è stato la decisione del presidente americano Barack Obama di disdire l’incontro di Mosca con Vladimir Putin, prima del summit del G20 che si svolgerà a San Pietroburgo.
Tra le ragioni che hanno portato a questa decisione si citano la mancanza di “chimica personale” tra Putin e Obama; l’irritazione della Casa Bianca per la campagna anti-americana, condotta fino a poco tempo fa dalla Russia; le dure misure attuate della leadership russa per limitare la dipendenza di molte Ong russe dai finanziamenti esteri e la repressione, inizialmente puntale e poi sempre più generalizzata, intrapresa dalla Russia contro gli attivisti politici. Anche l’insensata “lista Magnitsky” ha giocato un ruolo determinante, a cui la Russia ha poi risposto con una misura ancor più assurda.
Nell’ambito geopolitico, la cooperazione sul transito di materiale e personale militare Usa in Afghanistan attraverso la Russia è intralciata, a quanto pare, dai prezzi troppo alti imposti dalla Federazione per il trasporto dei carichi. Per quanto riguarda la questione siriana, le posizioni sono completamente divergenti. Su questo sfondo, la fuga in Russia di Edward Snowden (su cui Mosca non nutre chiaramente alcun interesse) non è stata che la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tuttavia, queste sono tutte cause secondarie del deterioramento delle relazioni tra Russia e Stati Uniti.
A mio avviso, le cause reali sono altre.
I due Paesi condividono interessi comuni su questioni ben più importanti della situazione di stallo nelle relazioni bilaterali in materia di arsenali nucleari, come, ad esempio, promuovere lo sviluppo pacifico della Cina e di tutta la regione circostante; impedire che il caos crescente dei Paesi arabi si propaghi ulteriormente; limitare gli effetti della diffusione, già iniziata, delle armi nucleari; aiutare la comunità internazionale a combattere i cambiamenti climatici, la scarsità di acqua e cibo e la criminalità informatica.
Tuttavia, nel quadro della politica del reset, questi problemi sono stati confinati in secondo piano, se non lasciati completamente in disparte. In primo piano sono state messe, invece, questioni di un’agenda ormai passata.
Il principale strumento della “perezagruzka” è stata la proposta americana di procedere con una riduzione degli arsenali nucleari. I diplomatici russi hanno accolto con piacere l’iniziativa e si sono messi subito all’opera. Gli amici-negoziatori dei tempi della guerra fredda si sono incontrati e hanno dato inizio a una serie di negoziati in vecchio stile.
Il risultato è stato un accordo inutile in termini di un reale disarmo ma positivo da un punto di vista meramente politico. Le relazioni tra Russia e Usa sono tornate per qualche tempo alla normalità, finché la questione non si è ripresentata. Gli americani hanno chiesto alla Russia di ridurre ulteriormente gli armamenti nucleari, soprattutto quelli tattici, solo che questa volta Mosca ha storto il naso. Dopotutto, gli arsenali nucleari costituiscono uno degli ultimi argomenti a sostegno dello status della Russia quale grande potenza. Essi, inoltre, compensano, in parte, molte debolezze della Federazione nel campo della sicurezza militare.
Sono iniziati i soliti dibattiti su chi ne avesse di più. Per placare le insistenze americane, Mosca ha dichiarato che non avrebbe rinunciato alla sua superiorità in termini di armi tattiche - che di fatto non costituivano una minaccia per nessuno - finché fosse esistito il rischio di un possibile dispiegamento, in Europa, del sistema di difesa antimissile.
Il razionale Obama, che, pur di garantire una ripresa dell’economia e della società statunitensi, ha effettuato tagli più profondi in materia di difesa, alla fine, ha rinunciato, di fatto, ai piani per il dispiegamento del sistema di difesa missilistica in Europa. Mosca ha finto di non accorgersene.
Innanzitutto, non si è predisposta a ridurre ulteriormente gli arsenali nucleari. In secondo luogo, un gruppo di missilisti e di burocrati a essi associati hanno iniziato a premere affinché una parte degli incassi ricavati dalla vendita del petrolio venisse destinata allo schieramento di una nuova generazione di missili pesanti. E infine la maggior parte dei russi ha, a quanto pare, creduto alle argomentazioni propagandistiche circa la pericolosità dello scudo missilistico statunitense.
In ogni caso, la politica del reset, che aveva come obiettivo la riduzione degli arsenali nucleari, ha di fatto rimilitarizzato i rapporti tra i due Paesi, e ha fatto sì che gli altri problemi, che avrebbero potuto costituire un nuovo ordine del giorno, venissero trascurati. Il fallimento della “perezagruzka” ha mandato a fondo l’intera politica del reset, che era, dal punto di vista strutturale, condannata sin dall’inizio.
A ciò ha contribuito anche il fatto che gli interessi economici che legano i due Paesi sono pochi. Anche le risorse energetiche russe hanno iniziato a pesare di meno sui piatti della bilancia. Difficilmente il presidente Obama avrebbe detto di no a un incontro con il leader della Cina. Infine, dal momento che la data del ritiro delle truppe Nato dall’Afghanistan si avvicina sempre di più, l’interesse di Washington nei confronti di Mosca è diminuito anche per quanto riguarda tale questione.
All’inizio di questo decennio, i miei colleghi del Valdai Club ed io avevamo scritto una relazione sulla necessità di un nuovo ordine del giorno per le relazioni Usa-Russia. In essa avevamo previsto che, se tale ordine del giorno non fosse stato adottato, i rapporti, costruiti su un ordine del giorno datato e ormai non più così importante, sarebbero falliti. E la previsione si è di fatto avverata. Ha perso il mondo intero, hanno perso entrambi i Paesi.
Missili americani in Europa, qual è lo scopo?
Che fare adesso? I due Paesi potrebbero, innanzitutto, iniziare a fidarsi l’uno dell’altro. Gli americani hanno più possibilità per farlo. Ma anche la Russia ne ha.
Meglio sarebbe, però, se i due Paesi si prendessero una pausa per elaborare un nuovo ordine del giorno per le relazioni bilaterali, che fosse rivolto al futuro e si sviluppasse su due direttrici principali: limitare il caos crescente e assumere un ruolo di leadership nella risoluzione dei problemi globali. La Russia, e ancor più gli Stati Uniti, potrebbero tranquillamente cavarsela senza dover ricorrere l’uno all’altro. Tuttavia sia gli Stati Uniti che la Russia hanno, da soli, molte meno probabilità di influenzare il mondo. Per il mondo intero sarebbe meglio se questi due Paesi - con il coinvolgimento di altri - collaborassero il più possibile.
Sergei Karaganov è preside della facoltà di Economia mondiale e Relazioni internazionali presso la Scuola Superiore di Economia di Mosca
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