Vignetta di Sergei Elkin
Ogni discussione sull’etica professionale dei russi finisce inevitabilmente per concentrarsi sull’era sovietica: un periodo che più di qualunque altro ha contribuito a corrompere le abitudini lavorative di questo popolo.
Benché dal crollo dell’Unione Sovietica ad oggi la situazione sia molto migliorata, i russi non sono ancora riusciti a liberarsi di alcune delle peggiori consuetudini di quegli anni.
Quello che segue è un elenco delle sette caratteristiche principali dell’etica di lavoro sovietica.
1. Pofigizm. Il pofigizm è un insieme di apatia, fatalismo e indifferenza, e potrebbe essere tradotto con il termine “menefreghismo”. Il fenomeno, che ha una diffusione nazionale, ha indubbiamente preceduto di molto l’avvento dell’Unione Sovietica; basti pensare a Yemelya, un’antica figura della tradizione russa, o a Ilya Oblomov, personaggio letterario del XIX secolo: due emblematiche incarnazioni del pofigizm nazionale. Nulla però ha contribuito a esacerbare nel luogo di lavoro gli elementi di fondo del pofigizm — inerzia, sconforto e sfiducia — quanto la sistemica stagnazione politica ed economica dell’Unione Sovietica (in particolare negli anni di Brezhnev).
Più che a una mentalità russa “distorta”, la scarsa etica lavorativa dei russi è da ricondursi al distorto ambiente politico ed economico del Paese.
Il pofigizm contribuisce ad esempio a spiegare perché diversi anni fa alcuni operai edili intenti a installare un cartellone pubblicitario nel centro di Mosca non si preoccuparono di sapere cosa vi fosse in quel punto sotto la strada, e finirono così per sfondare una carrozza della metropolitana che passava lì sotto. “Perché prendersi la briga di svolgere delle noiose indagini preliminari?, - si erano detti. - Probabilmente andrà tutto bene e non faremo alcun danno”. Tale atteggiamento, abbinato alle sue varianti più prossime, è ancora piuttosto diffuso.
2. Irresponsabilità. Poichénell’Unione Sovietica non esisteva la proprietà privata, formalmente le fabbriche e gli altri luoghi di lavoro appartenevano a tutti, ovvero, a nessuno. Per questo i lavoratori provavano uno scarso senso di responsabilità personale nei confronti del proprio lavoro e delle sue finalità. Ma anche quando li avessero avuti a cuore, la mediocre qualità dei componenti utilizzati e la loro cronica irreperibilità non avrebbe permesso loro di migliorare la situazione. La mancanza di responsabilità, unita al pofigizm, è stata una delle prime cause della scarsa produttività, dell’inefficienza e della mediocrità delle merci prodotte in Unione Sovietica.
3. “Eguaglianza nella povertà”. Al fine di eliminare le gelosie e l’“antagonismo di classe”, il partito comunista tentò di promuovere il principio “brutto, ma uguale per tutti”. Le uniche cose che riuscì a eliminare furono però lo spirito d’iniziativa, la capacità d’innovazione e la motivazione personale.
4. Mukhlyozh. La “competenza lavorativa” più apprezzata e utile ai tempi dell’Unione Sovietica non era il duro, onesto lavoro, bensì il mukhlyozh, una consuetudine che comprende il raggiro, il falsare i dati sulla produzione e altri mezzi volti a ingannare i superiori, i superiori dei superiori e le autorità di vigilanza. Non è difficile immaginare sino a che punto settant’anni di mukhlyozh imperante abbiano distrutto l’etica lavorativa sovietica.
Ancora oggi il mukhlyozh, insieme ad altre, più sofisticate forme di corruzione, è considerato una “competenza professionale” importante per chi desidera fare strada. E il lassismo con cui le leggi vengono applicate in Russia non fa che peggiorare la situazione. Non sorprende dunque che secondo un sondaggio condotto dal Centro Levada, il 73 per cento dei russi ritiene che in Russia sia impossibile arricchirsi con mezzi leciti.
5. Mancanza di ambizione. In Occidente un individuo ambizioso — dotato di entusiasmo e spirito di iniziativa — è molto apprezzato sul luogo di lavoro ed è spesso premiato dai superiori. Durante l’era sovietica una ambitsiozny chelovek (persona ambiziosa) era invece considerata “individualista” (un termine dispregiativo secondo l’ideologia collettivista dell’epoca) e inadatta al lavoro di squadra.
Il termine “ambizione” conserva ancora oggi un connotato negativo: per la maggior parte dei russi, infatti, una “persona ambiziosa” è vanesia, arrogante, pretenziosa e disposta a tutto — persino all’inganno, ai sotterfugi e al tradimento — pur di imporsi sugli altri e farsi strada.
6. Mancanza di un ambiente di lavoro competitivo. Mentre in Occidente i luoghi di lavoro sono per lo più improntati alla competitività, che in un sistema capitalistico è considerata un potente motore di innovazione e progresso, l’ideologia sovietica demonizzava il concetto occidentale di competitività ritenendolo spietato e disumano. Secondo la propaganda comunista, infatti, la competitività occidentale aveva distrutto l’etica del lavoro in Occidente, mettendo i lavoratori gli uni contro gli altri in base a una logica spietata e malvagia. Il comunismo sovietico offriva invece a tutti la garanzia di un impiego a vita, considerato alla base dell’armonia sociale e di alti livelli di soddisfazione professionale e di produttività.
Ancora oggi molti dei russi da me interpellati nel corso di una ricerca sull’etica del lavoro che si è protratta per cinque anni associano la competitività a qualcosa di negativo.
Durante i miei studi ho incontrato spesso dei russi che si dicevano scontenti di un impiego senza prospettive, malpagato e generalmente poco stimolante. Quando però ho suggerito loro di sottoporsi a una decina di colloqui di lavoro con delle compagnie di stile occidentale che avrebbero potuto apprezzare le loro competenze professionali, la prima reazione è stata: “Colloqui di lavoro? Non se ne parla! Sono così mortificanti!”. Seguita spesso da: “Inoltre, se non mi volessero?”.
7. Blat. Negli ultimi vent’anni la fine dell’ideologia comunista e l’emergere del settore privato hanno contribuito a smussare diverse componenti negative dell’etica di lavoro sovietica. Tuttavia, nella Russia post-sovietica il fenomeno del blat, o delle “conoscenze”, è di fatto peggiorato. Accade ovunque che le persone ricorrano al blat per trovare lavoro, ma in Russia tale consuetudine è assai più diffusa che nella maggior parte dei Paesi occidentali.
Anche il Presidente Vladimir Putin e il primo ministro Dmitri Medvedev hanno parlato apertamente del blat, affermando che in Russia il sistema che permette di trovare lavoro e fare carriera è decisamente troppo chiuso per un Paese che intende sviluppare un’economia moderna e occidentale. Un sistema dove blat e nepotismo contano più del merito può avere un impatto disastroso sull’etica lavorativa.
È evidente che gli aspetti negativi dell’etica del lavoro russa sono da collegare alla distorsione dell’ambiente politico ed economico del Paese più che alla mentalità “distorta” dei russi o a delle caratteristiche nazionali innate. Per convincersene basta osservare gli immigrati russi che si sono trasferiti negli Usa e in Europa. Qui, una volta entrati in contatto con un ambiente politico, economico e legale “sano” e un contesto lavorativo che stimola e gratifica l’iniziativa personale, l’entusiasmo e la motivazione, il loro atteggiamento verso il lavoro è drasticamente migliorato.
Percepire una paga migliore, vedersi trattare con più rispetto, godere di una pensione e di un’assicurazione sanitaria sovvenzionata, sapere che la legge tutela i diritti e la proprietà privata, lavorare in un ambiente dove la corruzione è ridotta al minimo e nel quale è possibile costruire una carriera e farsi strada sulla base del merito fa sì che quegli stessi lavoratori che in patria dimostravano un atteggiamento tipicamente russo nei confronti del lavoro adottino prontamente un’etica professionale di stile “protestante”.
Ma qual è oggi l’etica lavorativa dei russi?
Malgrado diversi elementi negativi che risalgono all’epoca sovietica permangano ancora oggi, vi sono alcuni indizi di progresso. Innanzitutto, negli ultimi venti anni è emerso un settore privato relativamente diffuso. In secondo luogo, la competitività del libero mercato e la legge del profitto costringono le imprese a promuovere l’innovazione, la produttività, la motivazione e l’efficienza. Terzo: sono sempre più numerosi i russi che studiano Amministrazione aziendale all’estero e che, una volta tornati in patria, trasferiscono nelle compagnie russe le preziose competenze e le tecniche di gestione aziendale apprese in Occidente.
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Infine, ma non meno importante, vi è il fatto che negli ultimi dodici anni i russi hanno conosciuto da vicino un leader che è un singolare esempio di dedizione al lavoro. Un uomo che lavora “come uno schiavo”.
Se solo Putin riuscisse a porre un freno al mukhlyozh e alla corruzione così come ha combattuto il pofigizm, non solo l’etica di lavoro in Russia migliorerebbe, ma tutta l’economia e il clima di investimenti ne trarrebbero giovamento.
Michael Bohm è autore di “The Russian Specific: An Analysis of the Russian Work Ethic” (A. Golod, 2007)
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