Lo scandalo delle spie incrinerà la collaborazione anti-terrorismo Russia-Usa a Sochi 2014?

Vignetta di Niyaz Karim

Vignetta di Niyaz Karim

Il professore di Affari globali dell'Università di New York, Mark Galeotti, riflette sulle conseguenze delle ultime vicende in materia di spionaggio in vista delle Olimpiadi invernali

Il caso di spionaggio scoppiato a Mosca, con le sue parrucche da quattro soldi, bussole e bigliettoni, sembrava, all’inizio, una farsa in stile “Il nostro agente all’Avana” di Graham Greene, più che un thriller sulla Guerra Fredda di John Le Carré. Eppure, è riuscito a eclissare tutti i dialoghi costruttivi che Russia e Occidente avevano intrattenuto su una più stretta cooperazione a livello di intelligence e di sicurezza, soprattutto in merito all'attentato di Boston e alle imminenti Olimpiadi invernali di Sochi.

Il caso di Ryan Fogle non dovrebbe, tuttavia, guastare tale cooperazione; dovrebbe, semmai, aiutare a chiarire dove questa funzioni e dove no, e a capire dove andrebbe tracciata la linea di confine tra l’ottimismo sconsiderato e il pragmatismo cocciuto.

Ovviamente, quest’ultimo scandalo di spionaggio ha generato titoli tanto indignati quanto divertiti. La Russia, dopo essere stata, negli ultimi anni, la principale destinataria di questo tipo di notizie, si sta ora divertendo, evidentemente, a interpretare l’altra parte. Sebbene abbia scelto di andare al di là delle tacite convenzioni spia-contro-spia, smascherando il funzionario della Cia a Mosca, la Federazione ha anche dichiarato che il tentativo americano di reclutare agenti del Servizio federale di Sicurezza (Fsb) è stato come “oltrepassare una linea rossa" (come se l’Occidente o i russi si fossero sempre frenati, alla minima possibilità, dal penetrare i reciproci servizi di sicurezza).

Cerchiamo però di analizzare la situazione nel giusto contesto. Gli scandali di spionaggio, alla fine, generano molto più fumo che fuoco reale. Si sa che tutti spiano tutti. Ci sono state, ovviamente, occasioni in cui gli scandali di spionaggio sono diventati veri e propri incidenti diplomatici, ma non è questo il caso, giacché nessuna delle due parti aspira a questo.

Gli Stati Uniti vogliono che le indagini sull’attacco terroristico di Boston proseguano, e ciò richiede una buona cooperazione tra Washington e Mosca. Anche se gli americani non sono molto contenti del ritmo e della qualità delle informazioni passate dai russi, sanno che qualcosa è meglio di niente. Inoltre, l’Occidente deve mantenere il Cremlino a bordo qualora ci sia qualche progresso multilaterale significativo in merito alla questione siriana.

Allo stesso modo, i russi, seppur felici di contribuire a questo scambio, si stanno anche assicurando di mantenerne il controllo. In questo suo nuovo mandato, il Presidente Vladimir Putin sta adottando una linea più dura e meno tollerante nella gestione della politica interna, ma il suo proverbiale pragmatismo politico dinanzi alle questioni di politica estera rimane efficace. Sa come muoversi con cautela nei conflitti e fino a che punto spingersi con l’Occidente su questioni chiave.

Da questo punto di vista, i russi e gli inglesi hanno imparato diverse importanti lezioni in questi ultimi anni, dopo il 2006, quando a Londra venne ucciso l’ex agente dei servizi segreti russi, Aleksandr Litvinenko. In un primo momento, il Regno Unito adottò una linea dura, dinanzi al rifiuto di Mosca di estradare il sospettato Andrei Lugovoi, ma non era di certo intenzionato a basare tutta la sua politica nei confronti della Russia su questo singolo caso. Così, quando il banchiere russo German Gorbuntsov rimase ferito in una sparatoria, nella capitale britannica, nel 2012, fu con un certo grado di sollievo che l’incidente venne utilizzato come pretesto per rilanciare una significativa collaborazione tra le forze dell’ordine di Londra e di Mosca.

In occasione della visita del primo ministro David Cameron a Sochi, le due parti si sono trovate d’accordo sulla necessità di ampliare la loro cooperazione anti-terroristica, in particolare in vista delle Olimpiadi invernali.

Se da un lato la linea dura della Russia sembra aver ripagato, Mosca è anche consapevole delle ripercussioni che tutto ciò ha sul dialogo per la sicurezza con l’Occidente. In un’epoca di soft power, di minacce interconnesse alla sicurezza e di branding nazionale globale, ciò potrebbe essere vista, nella migliore delle ipotesi, come una vittoria pirrica.

In ogni caso, quest’ultimo scandalo è principalmente una questione interna. La Cia ha più o meno lo stesso ruolo delle parrucche e della bussola di Fogle: oggetti scenici utili a rendere accattivante la storia. Può essere che l’Fsb, invischiato in una battaglia per la supremazia con le altre organizzazioni di sicurezza della Russia, volesse semplicemente fare colpo. Ad ogni modo, il caso è ora gestito dal Cremlino, e sembra piuttosto destinato a dimostrare che il governo è l’unico difensore attento degli interessi della Russia, in un mondo di intrighi stranieri.

Ciò tuttavia non può intralciare né intralcerà la cooperazione pragmatica nei settori di mutuo interesse. Le Olimpiadi invernali di Sochi, a febbraio 2014, ne sono l’esempio migliore. L’evento riunirà molti visitatori e atleti provenienti da tutto il mondo, pertanto è nell’interesse di tutti che tutto fili liscio in termini di sicurezza, nonostante le minacce dei jihadisti e dei nazionalisti del Caucaso del Nord.

La vera domanda è: fino a che punto Mosca sarà disposta a permettere al resto del mondo di aiutarla. Le Olimpiadi di Londra del 2012 sono state per molti versi esemplari, con un intenso scambio di servizi di intelligence e persino il coinvolgimento di agenti di sicurezza stranieri nelle fasi di pianificazione e nelle operazioni stesse del Governo britannico.

Con Sochi, invece, per il momento, la Russia sta adottando un approccio più prudente e restrittivo, chiedendo agli altri Paesi di concedere sì i loro servizi d’intelligence ma di lasciare che sia Mosca a preoccuparsi della gestione della sicurezza olimpica. Per quanto questi siano senza dubbio i Giochi Olimpici invernali della Russia, la vera cooperazione nell’ambito della sicurezza è una questione di dare e avere, una discussione piuttosto che un monologo. Quanto più i russi si dimostreranno disposti a coinvolgere gli altri Paesi, tanto più produttivo sarà tutto il processo. Ciò non richiede nessuna maggiore empatia tra le nazioni. Israele ha trovato il modo di collaborare tranquillamente con alcuni dei suoi vicini arabi e nemici storici, nonostante i disaccordi esistenti.

Mosca ha dimostrato di essere in grado di rispondere alle operazioni di spionaggio straniere e di sfruttarle politicamente, senza innescare espulsioni controproducenti basate sulla filosofia dell’occhio per occhio, o istrionismi simili. Tuttavia, rimane da vedere se una vera condivisione dell’intelligence, tra l’Occidente e la Russia, riuscirà a originarsi in tempo per Sochi. Idealmente, sia la Russia che l’Occidente dovrebbero essere in grado di sfruttare al meglio questa opportunità per far sì che le Olimpiadi si svolgano in tutta sicurezza e con successo, in modo che, il prossimo febbraio, i titoli dei giornali parlino di rivalità sportive e non geopolitiche.

Mark Galeotti è docente di Affari Globali presso l’Università di New York

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