Vignetta di Niyaz Karim
Ben pochi mettono in dubbio il fatto che gli Stati sovrani stanno lentamente ma inesorabilmente perdendo la loro facoltà di guidare in maniera indipendente i principali processi in atto sul proprio territorio. L'economia mondiale diventa sempre più globale, interconnessa e ramificata; ormai è assai difficile, e spesso addirittura impossibile, tracciare i confini tra le diverse economie nazionali.
Anche il sistema di diffusione delle informazioni ha smesso da tempo di fare i conti con le frontiere tra gli Stati: è diventato veramente globale. Ogni giorno un numero record di persone nella storia mondiale attraversano i confini tra gli Stati e milioni di persone vivono e lavorano in un Paese diverso da quello di origine, senza però diventare dei tipici emigranti, come accadeva solo un paio di decenni fa.
Questa tendenza non può non riguardare anche la politica e la diplomazia internazionali. Quello che per secoli era stato in ciascun Paese il destino di un ristretto gruppo di persone e un'attività di natura estremamente confidenziale sta diventando sempre più un affare pubblico.
Di pari passo con la riduzione dell'influenza dello Stato tradizionale e con l'indebolirsi della sovranità, anche la classica diplomazia internazionale sembra avviata a diventare un ricordo del passato. Da un lato, nelle condizioni odierne è sempre più difficile mantenere segreti i documenti diplomatici e il contenuto di colloqui riservati; e dall'altro, la società civile globale comincia a superare sempre più spesso i confini nazionali e a ingerirsi in questioni di politica internazionale.
Gli interessi degli Stati sovrani stanno diventando non solo più strettamente connessi tra loro, ma anche più indeterminati e difficili da formulare. Un conflitto armato in difesa dei propri interessi può trasformarsi in qualsiasi momento in una guerra contro se stessi, poiché non è chiaro dove finiscano questi interessi.
Le dinamiche del mondo contemporaneo richiedono alle élite una pronta capacità di reazione e un periodico riesame delle priorità, cosa anche questa in profonda contraddizione con i principi della diplomazia.
In queste condizioni cresce il ruolo dei fattori extrapolitici e non tradizionali, tra cui anche quello del "soft power": si ottiene cioè un aumento dell'influenza internazionale, dell'autorevolezza e delle possibilità del proprio Paese attraverso l'impiego di metodi non politici, e tanto meno militari, di promozione dei propri valori, priorità, idee e vedute.
Naturalmente, nessuno ha abolito i metodi militari e la necessità del cosiddetto "hard power" resterà inalterata. Eppure, già oggi è possibile affermare che il nuovo ordine mondiale che sta rapidamente prendendo il posto di quello ormai in declino, formatosi nella realtà postbellica quasi 70 anni fa, vedrà una contrapposizione di "soft power" assai più netta tra gli Stati e tra i vari blocchi.
In queste circostanze, per la Russia è di estrema importanza elaborare una propria concezione nazionale di soft power, mettere a punto le tecniche e i metodi per la sua attuazione, una strategia di sviluppo, delle priorità e degli obiettivi. Definire gli aspetti finanziari e organizzativi, il sostegno politico e intellettuale, assicurarsi l'appoggio della società civile e degli amici della Russia negli altri Paesi.
Ciò è particolarmente importante se si considera, in primo luogo, che la Russia da sempre ha semplicemente ignorato questo problema. In secondo luogo, il Paese ancora oggi si porta dietro lo strascico di una moltitudine di stereotipi e cliché dell'epoca sovietica. In terzo luogo, i rivali, gli avversari e gli antagonisti geopolitici e ideologici di Mosca in diversi Paesi per tutto questo tempo si sono dedicati non senza successo alla costruzione di una "anti-immagine" della Russia: qualcuno semplicemente per avversione nei suoi confronti, qualcuno per fare i propri interessi politici e qualcun altro per motivi di concorrenza commerciale.
In ogni caso, dalla contrapposizione globale tra i vari soft power nell'arena internazionale la Russia è quasi del tutto assente. È un fatto inammissibile, perché non solo compromette gravemente le possibilità del Paese a livello mondiale, ma non gli permette neanche di dare forma a un'immagine di sé adeguata e attraente.
Le perdite economiche e politiche della Russia in questo senso potranno solo aumentare. Eppure, il potenziale del suo soft power è enorme, e con il giusto approccio potrebbe benissimo eguagliare il potenziale americano, al cui incremento gli Usa hanno dedicato diversi decenni.
Nei prossimi anni Mosca avrà alcune straordinarie occasioni di condizionare l'agenda globale: suo il turno di presidenza del G20 per quest'anno e del G8 nel 2014; nel 2015 la Russia sarà la presidente di turno dei Paesi Brics. Se si aggiungono le Olimpiadi, le Universiadi, i Mondiali di calcio, etc., appare chiaro che l'importanza della Russia come newsmaker mondiale nei prossimi anni è destinata ad aumentare.
Crescerà l'attenzione per il Paese da parte dell'opinione pubblica internazionale. Sarebbe insensato non servirsi di una simile occasione per rafforzare le proprie posizioni "soft" nel mondo. Ma per far ciò è necessario un opportuno programma statale, di cui la Russia attualmente non dispone.
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