L’America non vuole, l’Europa non può. Rimane l’Asia?

Vignetta di Dan Pototskij

Vignetta di Dan Pototskij

Perso il titolo di superpotenza mondiale, gli Usa di Obama gettano lo scettro che potrà essere raccolto, nella situazione mondiale attuale, solo dalla Cina

Negli ultimi anni sul pianeta si è verificato un vuoto di potere generalizzato. È ora di cercare un nuovo gendarme mondiale. Il precedente, gli Stati Uniti d’America, sembrerebbe essersi stancato di stare alla guida della terra. L’Europa è chiaramente impossibilitata a riprendersi il ruolo perduto 75 anni fa. Le ricerche del nuovo leader portano inevitabilmente in Asia, ma anche lei ha i suoi problemi.

Un Paese stanco
Nel lontano 1998 l’allora segretario di Stato degli Usa Madeleine Albright definì l’America una “nazione insostituibile”. Da quel momento sono passati quindici anni e ora la definizione più calzante per gli Stati Uniti è un’altra: una “nazione senza fiato”, una superpotenza vicina all’abbattimento e più focalizzata sui problemi interni che sull’Afghanistan e il Vicino Oriente.

Non c’è nulla di sorprendente in questa stanchezza, se ci ricordiamo che dopo la fine della Guerra Fredda i soldati americani avevano trascorso in guerra il doppio del tempo rispetto ai decenni precedenti. Per difendersi Washington ha impiegato capitali senza precedenti: nel 2011 gli Usa hanno speso per la difesa più delle 19 potenze che la seguono, prese tutte insieme. Le spese militari, come si può facilmente intuire, hanno svolto un ruolo non secondario nella creazione del debito astronomico di 1.600 milioni di dollari.

Egoismo americano
Non è di certo un caso che nel suo secondo discorso inaugurale Barack Obama non abbia mai ricordato le celebri parole tratte dal discorso inaugurale di John F. Kennedy e pronunciate nel 1961, ovvero che l’America avrebbe pagato qualsiasi prezzo e sopportato qualsiasi privazione pur di difendere la libertà sulla terra.

Nell’ultimo intervento ufficiale di Obama il messaggio era un altro: un decennio di conflitti è arrivato alla fine. Il presidente americano, premio Nobel per la Pace, non si è inventato una definizione roboante di idea nazionale, ma una formula sintetizzabile in una semplice frase: il benessere e la prosperità dell’America sono molto più importanti del resto del pianeta.

Il predecessore di Obama, George Bush, aveva avuto una visione messianica degli obiettivi di politica estera del suo Paese. Al presidente americano attuale sembra più consona la cosiddetta dottrina Eisenhower, il quale pur essendo stato un eroe di guerra, negli otto anni alla guida del Paese (1953-1961), cercò con tutte le sue forze di evitare spargimenti di sangue. O quantomeno di sangue americano.

Un simile cambiamento di priorità non è la fine del mondo, anche se è difficile prevedere cosa accadrà se l’America si ritirerà definitivamente entro i suoi confini.

Chi c’è di nuovo?
Fare previsioni nel mondo di oggi è un compito tanto ingrato quanto complesso. Ma si ha una certa impressione che in politica estera nel secondo mandato presidenziale di Barack Obama non avverranno particolari cambiamenti.

La situazione economica e finanziaria non permettono agli Usa di rimanere il gendarme mondiale poiché il compito non è soltanto faticoso, ma anche molto caro.

Sorge inevitabilmente una domanda: chi sostituirà gli Stati Uniti? La Cina ha preso un po’ le distanze dalla politica estera a causa di indiscutibili problemi legati all’economia; la Russia ha già perso da tempo la forza che l’Unione Sovietica possedeva: l’Urss avrebbe sicuramente approfittato della possibilità capitata tra le mani. Per l’India e il Brasile è senz’altro troppo presto per pensare a una leadership mondiale.

Anche le organizzazioni internazionali hanno problemi seri: l’Onu, la Nato e l’Ue stanno ora riesaminando un intero sistema di valori e cercano, per così dire, la loro strada nel mondo di oggi.

In America domina l’opinione che sia l’Europa a potere e dovere prendere il posto di gendarme mondiale. Il fatto che lo vogliano gli americani di certo non vuol dire che il loro desiderio coincida con quello degli europei.

La cosa che più dispiace ai sostenitori del nuovo ruolo del Vecchio continente è la mancanza, nell’Europa unita, di una reale coesione, un fatto visibilmente dimostrato dalla crisi e dai sempre più violenti contrasti in merito alla politica di rigida economia per la lotta alla crisi.

La conclusione è che l’America non vuole rimanere il leader mondiale, ma l’Europa non lo può diventare. Comunque la si giri il candidato più probabile rimane la Cina. Non appena sistemerà i suoi problemi di economia – che non sono affatto comparabili con quelli affrontati di recente dal Vecchio e Nuovo mondo – Pechino avrà carta bianca. La voglia di superare in tutto e per tutto l’America però c’è e come.

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