Vignetta di Niyaz Karim
Il 7 maggio 2013, durante la visita in Russia del Segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry, Mosca e Washington si sono accordate sullo svolgimento di una conferenza internazionale sulla Siria. La novità sta nel fatto che il titolare degli Esteri russo Sergei Lavrov e John Kerry hanno deciso per la prima volta di tenere un discorso congiunto per esortare a partecipare alla conferenza sia l'opposizione che le autorità ufficiali di Damasco.
Una settimana più tardi è stato reso noto che la conferenza si svolgerà a livello ministeriale, a Ginevra e sotto l'egida dell'Onu. Mosca ritiene che sia necessario coinvolgere nei lavori della conferenza anche i Paesi che hanno un ruolo chiave nella regione, in particolare l'Iran e l'Arabia Saudita.
In sostanza si tratta di una "Ginevra 2", ossia di una replica dell'analogo incontro svoltosi nella città svizzera nel 2012. In quell'occasione, tutti i partecipanti si erano detti concordi sulla necessità di avviare un dialogo politico tra le parti in lotta. Questo dialogo, però, a tutt'oggi, non è iniziato.
Il motivo principale di ciò è che l'Occidente, i suoi alleati in Medio Oriente e l'opposizione siriana insistono sull'allontanamento del presidente siriano Bashar Assad come condizione fondamentale per l'avvio del processo di conciliazione politica.
Mosca chiede invece che la soluzione del problema sia raggiunta senza pressioni dall'esterno. In altre parole, la Russia cerca di contrastare la prassi della sostituzione forzata dei regimi attuata con l'intervento di forze esterne, ben nota dopo gli avvenimenti in Jugoslavia, Iraq e Libia, solo per citare gli avvenimenti degli ultimi 25 anni.
A giudicare dal fatto che Putin, durante l'incontro del 7 maggio 2013 al Cremlino, ha ascoltato Kerry senza mostrare entusiasmo, Mosca e Washington restano ancora su posizioni diametralmente opposte riguardo a questo aspetto cruciale, e nessuna delle due parti, a quanto pare, è disposta a fare un passo in direzione dell'altra. Cosa che, del resto, non impedisce alle manovre diplomatiche di proseguire: di recente il premier britannico James Cameron si è recato in visita in Russia e negli Stati Uniti; il premier israeliano Benjamin Netanyahu è volato a Pechino e a Mosca; il premier turco ha visitato Washington; il Segretario di Stato degli Stati Uniti e il ministro degli Esteri della Russia si tengono costantemente in contatto. Eppure, sembra appunto che tutto ruoti intorno al problema di Bashar Assad.
Il ministro dell'Informazione siriano Omran al-Zoubi ha annunciato che le autorità della Siria non parteciperanno alla conferenza internazionale sulla pacificazione del conflitto con l'opposizione, se si deciderà di mettere all'ordine del giorno la questione della permanenza al potere di Bashar Assad o la possibilità di modificare la costituzione del Paese.
John Kerry ha fatto invece intendere che gli Stati Uniti vorrebbero vedere tra i partecipanti di "Ginevra 2" anche il presidente della Siria. "Se il presidente Assad si rifiuterà di venire alla conferenza, questo sarà un altro suo grave errore", ha osservato Kerry.
Il Segretario di Stato ha dichiarato che qualora Assad non dovesse sedersi al tavolo delle trattative, "l'opposizione riceverà ulteriore aiuto, verranno fatti ulteriori sforzi e, purtroppo, la violenza non cesserà".
In altre parole, il presidente siriano viene minacciato di un aumento del sostegno all'opposizione: il sostegno da parte degli Stati Uniti verrebbe raddoppiato entro il 2014 e verrebbe abolito l'embargo sulle forniture di armi alla Siria da parte dell'Unione Europea.
Anche l'Onu fa pressione su Damasco. Il 16 maggio 2013 l'Arabia Saudita e il Qatar si sono fatti promotori dell'ennesima risoluzione di condanna dell'Assemblea Generale dell'Onu nei confronti delle autorità ufficiali di Damasco. Bisogna dire che questa tendenza non è propizia alle monarchie del Golfo Persico.
A favore della risoluzione hanno votato 107 Paesi; i contrari sono stati 12, tra cui la Russia e la Cina. Altri 59 Paesi si sono astenuti. Il numero dei Paesi che ha appoggiato la bozza di risoluzione è dunque calato rispetto al 2012, quando a favore di un'analoga risoluzione si erano pronunciati in 133.
Non meno importante è il pericolo dell'uso diretto della forza. Il pretesto per un intervento armato nel conflitto siriano potrebbe essere il possesso di prove dell'impiego di armi chimiche da parte di Damasco. Anche se le prove potrebbero non essere necessarie. Basti pensare all'episodio delle armi batteriologiche in Iraq.
Questa è una spada di Damocle che pende sul capo di Assad. Vi sono pochi dubbi sul fatto che all'occorrenza essa verrà utilizzata senza richiedere alcuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Lo si è capito chiaramente quando Israele il 3 e il 5 maggio 2013 ha compiuto attacchi aerei in territorio siriano. Non risparmia minacce neanche la Turchia, che attribuisce l'attentato terroristico dell'11 maggio 2013 nella città di Reyhanli ai servizi segreti siriani.
Pertanto, ad Assad sono chiare le possibili conseguenze della sua inflessibilità. Ma se le pressioni diventeranno il principale argomento nell'incontro di Ginevra, non c'è da aspettarsi una rapida pacificazione della Siria.
Andrej Iljashenko è editorialista sui temi del Medio Oriente per diversi media russi e riviste militari
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