Vignetta di Natalia Mikhaylenko
Ora come ora, l’Unione Europea si trova davanti a un dilemma: non sa con esattezza in che direzione andare. Ecco perché vi è una richiesta sempre maggiore di previsioni, le quali, tuttavia, risultano sempre meno accurate a causa dell’aumento del numero di incognite.
In termini di prospettive di espansione, si potrebbe affermare, con un buon grado di certezza, che, nei prossimi 10 anni, l’Unione Europea ingloberà tutti i Paesi dei Balcani Occidentali, ad eccezione della Bosnia-Erzegovina, dell’Albania e del Kosovo, anche se questi ultimi due entreranno a far parte del blocco europeo in un secondo momento. Anche l’Islanda si unirà all’organizzazione.
La Turchia rappresenta un caso a parte. È la prima volta, nella storia dell’Ue, che a uno Stato viene riconosciuto lo status di Paese candidato (la Turchia lo ha ricevuto nel 2005), ma poi non diventa un membro a pieno titolo dell’organizzazione. Ciò non significa, tuttavia, che la situazione rimarrà così per sempre.
Alcuni studiosi ritengono che l’Unione Europea entrerà in crisi non appena la Turchia vi aderirà, mentre altri pensano che la sua adesione potrà fornire un nuovo impulso al futuro dell’Unione. Entrambe le posizioni possono essere, dopotutto, corrette. Tutto dipende dai tempi con cui verrà deciso il suo ingresso.
Il periodo più favorevole sarà probabilmente intorno al 2020, quando l’Unione Europea entrerà in un nuovo periodo di stabilità, al termine dell’attuale crisi politica, socio-economica e finanziaria. La Turchia, dal canto suo, avrà ancora sufficiente volontà politica per decidere di aderire all’Ue, nonostante il clima di crescente euro-scetticismo che caratterizzerà la società.
Nel caso in cui, invece, nel nuovo decennio, non vi sia alcuna adesione, il mutato equilibrio di forze nella regione e nel mondo - forze che non saranno più a favore dell’Europa - insieme all’emergere della Turchia, quale leader regionale a tutti gli effetti, potrebbero far sì che Ankara consideri più conveniente mantenere una certa libertà piuttosto che cedere una parte della sua sovranità a Bruxelles.
È molto probabile, inoltre, che l’Unione Europea dedichi il resto di questo decennio a orientare i suoi sforzi alla risoluzione dei suoi problemi di sviluppo interno, trovandosi in una zona ad alto rischio, dal punto di vista economico, sociale e politico.
Dovrà superare un doloroso processo di ristrutturazione del mercato sociale, che dovrà diventare più competitivo, se le aspirazioni dell’Ue sono quelle di occupare una posizione di rilievo nel XXI secolo.
Considerato lo stato attuale delle cose, è improbabile che vi siano Paesi membri che decidano di ritirarsi dall’Eurozona e di riadottare la loro valuta nazionale: innanzitutto, perché non esistono meccanismi che regolino tale ritiro, e in secondo luogo, perché gli effetti negativi supererebbero di gran lunga quelli positivi, sia per lo Stato interessato che per l’organizzazione nel suo complesso.
Il mercato sociale dell’Europa occidentale e il “welfare state” stanno vivendo momenti difficili, anche se è improbabile che vengano sostituiti dal modello anglosassone nella sua variante americana. Qualora sopravvivano, com’è probabile che sia, diventeranno molto meno generosi.
È possibile prevedere anche dei passi avanti per quanto riguarda la democratizzazione dell’Unione Europea, che era inizialmente un progetto di élite nazionali. Il problema del “deficit democratico” è diventato così acuto che difficilmente l’Ue riuscirà a raggiungere una certa stabilità senza aver prima risolto questa questione.
Il Parlamento europeo continuerà a rafforzarsi, mentre i primi partiti politici europei compariranno probabilmente entro il 2020. C’è una buona probabilità che, nei prossimi anni, l’Unione Europea continui anche il suo impegno ad approfondire l’integrazione finanziaria, fiscale e di bilancio. Gli Eurobond potrebbero essere introdotti negli anni a venire.
Pertanto, dopo una fase piuttosto lunga di espansione dell’Ue arriverà a un periodo di approfondimento e consolidamento dell’integrazione, che aprirà la strada a un “rilancio” del progetto europeo. L’integrazione finanziaria ed economica porteranno a un’integrazione politica.
Per la Russia, tutto ciò implicherà tanto dei vantaggi quanto degli svantaggi. L’emergere di un attore politico rafforzato rappresenterà un fattore positivo per Mosca, qualora i loro interessi coincidano; come, ad esempio, per quanto riguarda il ruolo centrale delle Nazioni Unite negli affari internazionali.
Qualora, invece, i loro interessi divergano – come, ad esempio, per quanto riguarda la politica di partenariato dell’Ue nell’Europa orientale, i conflitti nello spazio post-sovietico e l’influenza nello sviluppo dei Paesi dell’Asia Centrale – per la Russia sarà sempre più difficile poter fare affidamento su rapporti privilegiati con le singole capitali europee.
In generale, i rapporti di politica estera tra l’Ue e Mosca si ridurranno anche per quanto riguarda i settori del petrolio e del gas, soprattutto dopo che gli Stati membri avranno elaborato una politica energetica comune, com’è probabile che avvenga nei prossimi anni.
Saranno pertanto necessari ulteriori sforzi per creare meccanismi permanenti di coordinamento e armonizzare gli interessi delle due parti.
Alexei Gromyko è vice direttore dell'Istituto per l’Europa dell’Accademia russa delle scienze, responsabile del Centro per gli studi inglesi e membro del Consiglio russo per gli Affari internazionali
L’articolo è stato pubblicato in versione ridotta. Per leggere l'originale cliccare qui
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