Vignetta di Natalia Mikhaylenko
Nelle ultime settimane le autorità russe hanno rilasciato una lunga serie di dichiarazioni circa la loro volontà di ripristinare la presenza navale globale che il Paese ha perso in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. È stata annunciata la creazione di una task force permanente incaricata di pattugliare il Mediterraneo, e l’Ammiraglio Comandante della Marina militare russa, Viktor Сhirkov, ha dichiarato che formazioni simili potrebbero comparire anche nell’Oceano Pacifico e in quello Indiano. La Russia ha già intavolato una serie di trattative con il Vietnam per l’utilizzo dell’ex base logistica sovietica di Kamran.
La nuova fase di espansione navale della Russia, tuttavia, non ha niente a che vedere con le dimensioni della flotta sovietica che un tempo solcava i mari del mondo. La flottiglia del Mediterraneo sarà composta da appena 5-6 navi e non sarà, pertanto, in grado di confrontarsi con la Marina statunitense. A Kamran, nel migliore dei casi, si potrà aprire un punto di supporto logistico, mentre in epoca sovietica il porto era una base navale a tutti gli effetti, con un forte sistema di difesa e truppe di stanza permanenti.
Questo fatto potrebbe rispondere a una manifestazione sui generis della globalizzazione. La Russia è solo uno dei tanti Paesi di secondo, se non addirittura di terzo livello, che sta lottando per creare una flotta di mare aperto. Attualmente, oltre che in Cina, che sostiene di essere la seconda superpotenza del mondo, programmi navali simili sono in fase di sviluppo anche in India, che sta promuovendo il concetto di una flotta di spedizione in grado di operare in qualsiasi parte del mondo; in Corea del Sud, che ha in programma di sfornare una flotta oceanica entro il 2020; in Brasile, che ha incluso la creazione di una flotta di mare aperto nella sua Strategia di difesa nazionale del 2008; e in Giappone, che in silenzio, ma in maniera efficace, sta costruendo una forza navale simile. Il desiderio di costruire una flotta oceanica è stato espresso in diversi momenti anche dall’Iran e, un po’ prima, dalla Tailandia, che è l’unico Paese del Sud-est asiatico a possedere una portaerei.
Questa spinta a creare una flotta di mare aperto è il risultato della globalizzazione, ed è simile, per molti aspetti, alla corsa agli armamenti navali verificatasi a cavallo tra il XIX e il XX secolo. A quel tempo, più di un secolo fa, la globalizzazione era associata all’acquisizione di colonie e semi-colonie da parte di potenze europee e degli Stati Uniti. Allora, la principale minaccia agli interessi di una grande potenza proveniva da potenze rivali. Per proteggere le colonie e le relative vie di comunicazione era necessario poter contare su una flotta da combattimento oceanica potente. Una debole flottiglia di mare aperto non avrebbe avuto semplicemente senso, giacché sarebbe stata subito distrutta, qualora si fosse verificato un confronto diretto con il nemico. Ciò ridusse pertanto il numero di partecipanti alla corsa navale a una manciata di grandi potenze economiche.
Con l’avvento della concezione attuale di globalizzazione, l’idea di colonie e di zone di interesse privilegiato è stata relegata al passato. Persino potenze economiche di secondo livello – come Russia e India - possono contare su investimenti multimiliardari e migliaia di colonie, popolate da propri cittadini, su altri continenti. Le principali minacce alla sicurezza fisica di queste diaspore e di questi investimenti non provengono da eserciti nemici, bensì da sommosse, disordini sociali, casi di terrorismo e pirateria, e altre attività perpetrate da attori non statali. Il costo di un conflitto militare diretto, tra le maggiori potenze mondiali, è, al giorno d’oggi, molto elevato, perciò anche i Paesi tra di loro ostili cercano di condurre una lotta, ricorrendo a tattiche alternative, come sanzioni economiche, blocchi, o altre misure non militari.
In queste circostanze, una flotta compatta in grado di operare in acque aperte sta diventando uno strumento indispensabile per qualsiasi Stato di grandi dimensioni con interessi economici globali. I Paesi sviluppati, al fine di perseguire i propri interessi commerciali globali, o vantano una propria flotta di mare aperto o fanno parte di un’alleanza militare con un Paese che ne possiede una. Tutti i Paesi in via di sviluppo, con ambizioni economiche globali, stanno costruendo flotte di mare aperto.
Non si tratta di un’estenuante rivalità con altre potenze. L’obiettivo è in realtà quello di creare formazioni relativamente compatte in grado di fornire una squadriglia di aerei da combattimento, missili da crociera e forze speciali, in qualsiasi angolo del mondo, e poter evacuare migliaia di cittadini da una colonia. Tale flotta dovrebbe essere, inoltre, capace di proteggere le rotte marittime commerciali dai pirati e garantire la consegna delle merci in qualsiasi Paese, anche quelli contro i quali, dal nostro punto di vista, sono state imposte sanzioni ingiuste.
In assenza di imbarcazioni, pensate e attrezzate appositamente per tali operazioni, la Russia può, per il momento, fare affidamento sull’eredità sovietica. La flotta russa è già in grado di condurre operazioni anti-pirateria regolari e a lungo termine nel Golfo di Aden, e di mantenere una presenza prolungata al largo della costa della Siria, in modo da ridurre la probabilità di un intervento militare proveniente dall’esterno. Ovviamente, con la costruzione di una nuova flotta oceanica russa, ogni pretesa di rivalità e confronto con gli Stat Uniti e i suoi alleati, andrebbe stroncata sul nascere; in passato, i tentativi della Russia di affrontare le potenze marittime tradizionali sono finiti quasi sempre in lacrime.
Vasily Kashin è un esperto del Centro per l’analisi di strategie e tecnologie
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