L’atomo pacifico ha vinto la battaglia in Europa

Vignetta di Natalia Mikhaylenko

Vignetta di Natalia Mikhaylenko

L'Est non è pronto a rinunciare all'energia nucleare: la conferma dal referendum in Bulgaria che ispira questa riflessione

L’Europa orientale non è pronta a rinunciare all'energia nucleare. Il 27 gennaio 2013, in Bulgaria si è svolto un referendum nazionale, indetto dal Partito socialista bulgaro, guidato dall'ex primo ministro Sergei Stanishev, in cui i cittadini sono stati invitati a rispondere alla seguente domanda: “La Bulgaria dovrebbe sviluppare il settore dell'energia nucleare attraverso la costruzione di una nuova centrale?”.

Inizialmente, il quesito era stato formulato in maniera diversa e faceva specifico riferimento alla ripresa dei lavori di costruzione della centrale elettronucleare di Belene. Nel 2006, l’ Atomstroyexport aveva vinto la gara d'appalto per la sua realizzazione, battendo la società americana Westinghouse.

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Alla fine, però, le autorità hanno preferito optare per una formulazione più neutrale. Secondo i sociologi, questa mossa ha un po’ disorientato i cittadini. Inoltre, l’attuale primo ministro Bojko Borisov aveva invitato i suoi sostenitori (del partito Gerb) a votare “no”. Sua era stata anche la decisione di interrompere i lavori di costruzione della centrale di Belene.

Nel giorno del voto, l’affluenza alle urne ha superato la soglia minima per passare la palla al parlamento, raggiungendo il 21,8 per cento. A favore della costruzione di una centrale nucleare ha votato il 61 per cento, contro il 35. Ora, secondo la legislazione bulgara, la questione tornerà in parlamento. Se l'affluenza avesse raggiunto il quorum del 60 per cento, il progetto sarebbe stato approvato senza dover essere esaminato dai deputati.

“Non riesco a capire come - dal punto di vista morale - qualcuno possa ignorare l’opinione di quasi un milione di cittadini (la popolazione della Bulgaria è di poco superiore ai 7 milioni di abitanti), quando i dati del referendum dimostrano che, dopo le prossime elezioni in Bulgaria, la questione della centrale nucleare di Belene tornerà a essere un tema caldo”, dichiara Tasko Ermenkov, esperto del settore energetico bulgaro e membro del comitato direttivo a sostegno del referendum.

I risultati del referendum rappresentano un precedente importante per l’Europa post-Fukushima. Ora, per l'opposizione bulgara, sarà essenziale preservare la vittoria del progetto di Belene, dal momento che tutte le discussioni, che il mese scorso avevano preceduto il referendum, avevano riguardato proprio i pro e i contro di questo progetto.

“Questa estate in Bulgaria si svolgeranno le elezioni parlamentari. Gli osservatori interpretano i risultati del referendum come una proiezione delle votazioni per il Bsp o il Gerb. Ovviamente, la discussione continuerà, anche perché è proprio da chi vincerà le elezioni parlamentari e formerà il nuovo governo, che dipenderà il destino del progetto”, ritiene Aleksandr Uvarov, esperto indipendente in energia nucleare e responsabile di Atominfo.

L’attuale posizione di Bojko Borisov e dei suoi sostenitori è la seguente: la centrale costa 10 miliardi di euro, il bilancio del Paese non dispone di una cifra simile, e, come avverte il primo ministro, anche se la gente vota “sì”, non vi è modo di racimolarla, se non mettendo le mani nelle tasche dei pensionati.

“Nel 2010, Bojko Borisov aveva posto una serie di condizioni per l'avvio del progetto della centrale di Belene. Egli voleva, ad esempio, che venisse presentata una dichiarazione relativa ai costi fissi della centrale, che tenesse conto anche di tutti gli indici inflazionistici; che la Società Elettrica Nazionale (Nek) conservasse il 51 per cento della società di progetto e che la centrale venisse finanziata senza dover ricorrere né ai soldi né tantomeno alle garanzie del bilancio dello Stato, ma con il coinvolgimento di investitori europei. Alla fine, tutte queste condizioni erano state soddisfatte”, ricorda il portavoce ufficiale di Rosatom, Sergei Novikov.

La società ingegneristica francese Altran Technologies e il consorzio finlandese Fortum riuscirono, in collaborazione con Rosatom, ad attrarre i finanziamenti per la costruzione della centrale al prezzo fisso di 6,297 miliardi di euro, assumendosi anche tutti i rischi inflazionistici. Il pacchetto di controllo rimase nelle mani della Nek, che ricevette anche la possibilità di stanziare la sua parte di risorse in un secondo momento, utilizzando i proventi della nuova stazione elettrica. Tutti questi accordi furono sanciti nei memorandum che furono siglati per la costituzione della società di progetto. Non venne sborsato neanche un lev bulgaro del bilancio.

Nonostante tutto, alla fine, Bojko Borisov decise, comunque, di bloccare il progetto, nella primavera del 2012, dopo la visita del Segretario di Stato americano Hillary Clinton. “Il dibattito si è ora spostato nella Repubblica Ceca dove è stata indetta una gara d’appalto per la costruzione della centrale nucleare Temelin: Škoda/Atomstroyexport contro Westinghouse. Prima di dimettersi, la Clinton si era recata nella Repubblica Ceca per convincere il ministro degli Esteri Schwarzenberg ad affidare l’appalto agli americani. Ciò aveva fatto rabbrividire i cechi. Ed è forse proprio a causa del sostegno dimostrato alla Clinton che Schwarzenberg ha perso la corsa alla presidenza, il 26 gennaio 2013”, sottolinea il politologo ceco Ondřej Mrázek.

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