Il ministro russo degli Esteri, Sergei Lavrov (a sinistra) e il segretario di Stato Usa John Kerry (Foto: AP)
L'incontro avvenuto a Roma il 14 dicembre tra i capi dei dicasteri diplomatici russi e americani ha dimostrato che, malgrado le tensioni esistenti, le due superpotenze sono alla ricerca di punti di convergenza e sono pronte a cooperare per trovare delle soluzioni a certe questioni nodali, come per esempio la questione palestinese. Gli esperti ritengono che Mosca e Washington abbiano interesse ad allentare la tensione. Tuttavia in una prospettiva a medio termine è assai improbabile che si arrivi a una normalizzazione.
Malgrado il brusco raffreddamento nelle relazioni tra Russia e Usa, i politici e gli esperti dei due paesi continuano a dialogare e cercano di trovare dei punti di convergenza. La principale tesi al centro dei dibattiti è che la crisi nei rapporti bilaterali si sia spinta troppo oltre e che si stia precipitosamente perdendo il controllo della situazione. “Se la crisi si aggravasse, potrebbero verificarsi problemi molto seri e la Russia si trasformerebbe nel vero antagonista strategico degli Usa”, afferma Andrei Sushentsov, managing partner dell’agenzia “Vneshniaia politika”.
“Dal punto di vista del potenziale militare essa non costituisce una minaccia per gli Stati Uniti (se si esclude il rischio di una guerra nucleare), tuttavia il suo ingresso nella schiera degli avversari potrebbe intralciare in modo assai grave la realizzazione degli interessi americani in una serie di regioni (Asia, Europa, Medio Oriente), e anche complicare il processo di contenimento della Cina”.
Perciò Washington e Mosca hanno deciso di prevenire l’escalation della violenza nel problema più spinoso nelle relazioni bilaterali tra i due paesi, ovvero la situazione ucraina. “Il primo passo su cui tutti concordano è il cessate il fuoco nel Sudest dell’Ucraina che ora è in corso: le parti in campo stanno ritirando le truppe”, spiega Andrei Sushentsov.
Il Cremlino e la Casa Bianca stanno investendo ingenti sforzi. La Russia cerca di contenere gli impeti aggressivi della leadership della Repubblica popolare di Donetsk e della Repubblica popolare di Lugansk, costringendola a rispettare la tregua. A sua volta il vicepresidente americano Joseph Biden è volato personalmente a Kiev per convincere il Presidente ucraino Petro Poroshenko ad accettare l’avvio di nuovi negoziati con i rappresentanti degli insorti.
Tuttavia, gli esperti ritengono assai improbabile che il processo di normalizzazione della situazione ucraina possa svolgersi in modo semplice. Gli Stati Uniti per ragioni di prestigio non possono esimersi dall’offrire il loro sostegno incondizionato al governo ucraino, benché nel corso di un’intervista raccolta dal corrispondente di Rbth i politologi americani si siano espressi in termini del tutto critici sulla politica di Yatseniuk e Poroshenko. Il desiderio di mantenere fede a una certa immagine, unito alle forti pressioni da parte del Congresso, potrebbe costringere il presidente americano a decidere di avviare la fornitura di armi in Ucraina dopo l’approvazione da parte del Congresso dell’”Atto per il sostegno della libertà in Ucraina”.
Un’altra fonte di attrito potrebbe essere costituita dalla prosecuzione degli accordi di associazione all’Ue. I politologi europei e americani assicurano che la firma dell’accordo non violerebbe gli interessi di Mosca e che non solo non accorcerebbe i tempi d’integrazione di Kiev nell’Ue, ma addirittura allontanerebbe tale prospettiva. A loro avviso, l’accordo andrebbe a sostituire l’accettazione dell’Ucraina come membro dell’Unione. Mentre la Russia ritiene che tale accordo servirebbe a staccare ulteriormente l’Ucraina dal mercato russo e in prospettiva a preparare il suo ingresso nelle strutture euroatlantiche.
Il processo di normalizzazione non si compirà tanto in fretta
Tuttavia, se rispetto alla questione degli Usa e della Russia si potrà trovare un compromesso, una normalizzazione delle relazioni è ancor ben lungi dal realizzarsi. In primo luogo perché per gli Stati Uniti non è facile elaborare con Mosca un modus vivendi nello spazio post-sovietico nel suo complesso. “Le due parti hanno semplicemente approcci diversi verso questo spazio. Se la Russia (sia all’epoca di Eltsin che di Putin) si dichiarava, come continua a dichiararsi tuttora, a favore del riconoscimento dello spazio ex-sovietico quale sfera di interessi prioritari, gli Usa si rifiutano di riconoscere tali richieste” ritiene Sergei Markedonov, docente presso l’Rggu di Mosca. In secondo luogo, gli Stati Uniti e la Russia non possono elaborare un modus vivendi globale. Cooperano su una serie di questioni (spazio, Artide, Medio Oriente), ma tuttavia non esiste alcun accordo reciproco su una visione strategica d’insieme.
Se in un immediato futuro le parti non investiranno sforzi ingenti nella realizzazione di tale struttura, resteranno solo due scenari possibili nei quali la contrapposizione tra le potenze possa trasformarsi. “Nella prima ipotesi, qualcuno dei paesi dovrebbe rinunciare all’aspirazione a estendere la sua sfera d’influenza, pagando tuttavia il prezzo di una catastrofe nazionale. Nella seconda variante invece Mosca e Washington sarebbero costrette a unire i loro sforzi di fronte a un avversario ancora più forte. Ma la presenza di un simile avversario non è prevista in un immediato futuro”, sostiene il politologo russo Andrei Epifantsev, direttore dell’agenzia di analisi “Alte et certe”.
A suo avviso, una stabilizzazione attraverso il compromesso nell’attuale congiuntura risulta improbabile. “Il peso delle singole nazioni nel mondo è troppo eterogeneo, ma un compromesso unilaterale raggiunto respingendo l’idea che esistano degli interessi della Russia, risulterebbe inevitabilmente un fallimento”. E su ciò Vladimir Putin nell’attuale congiuntura politica interna ed estera non può essere d’accordo.
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