Ucraina, l’incognita dei negoziati

Il Presidente ucraino Petro Poroshenko e il Presidente americano Barack Obama durante una fase dei colloqui sulla questione ucraina (Foto: Reuters)

Il Presidente ucraino Petro Poroshenko e il Presidente americano Barack Obama durante una fase dei colloqui sulla questione ucraina (Foto: Reuters)

Slitta nuovamente la data dei colloqui di Minsk. E le parti coinvolte si riscoprono ancora lontane dal raggiungere una soluzione definitiva. Il parere degli esperti sulla crisi in corso

Sembra destinata a slittare ancora una volta la data - inizialmente fissata per il 9 dicembre e poi spostata al 12 - dei negoziati per risolvere il conflitto ucraino. Le parti coinvolte avrebbero dovuto partecipare a un ulteriore round di incontri a Minsk per decidere come risolvere la crisi. Ma, a quanto pare, gli incontri slitteranno anche questa volta.

Gli esperti pensano che le parti siano interessate a limitare l’intensità dei combattimenti, ma mettono in guardia perché mancano i presupposti per raggiungere un vero accordo di pace. Il fatto che si svolgano dei colloqui può essere già considerato un grande successo.

 
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Il Presidente dell’Ucraina Petro Poroshenko in precedenza si era rifiutato di inviare i suoi delegati a Minsk a parlare con i separatisti in incontri mediati da rappresentanti della Russia e dell’Osce. Ha preferito invece che si svolgessero negoziati a Ginevra con la Russia, utilizzando come mediatori Stati Uniti e Unione Europea. Mosca, tuttavia, si è rifiutata di sedersi al tavolo dei negoziati con queste modalità, facendo notare di non essere una delle parti in conflitto. Soltanto una chiacchierata con il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden ha convinto Poroshenko a cambiare idea e ad acconsentire alla proposta dell’incontro a Minsk. Tuttavia, le autorità ucraine si sono rifiutate di considerare i separatisti come una parte in causa nel conflitto, come un partner al tavolo dei negoziati.

Il portavoce del Consiglio nazionale ucraino per la Sicurezza e la Difesa, Andriy Lysenko, ha detto: “Tre parti – Russia, Ucraina e Osce – si preparano a intavolare i negoziati, mentre la Bielorussia è disposta a garantire tutte le condizioni necessarie a trattare nell’ambito del gruppo trilaterale di contatto”.

Malgrado i colloqui, è ancora prematuro dare per scontata la risoluzione del conflitto. La situazione è degenerata ulteriormente e in modo così drammatico negli ultimi mesi che le parti coinvolte incontrano parecchie difficoltà a rispettare gli accordi di Minsk firmati il 5 settembre. “Da allora le parti hanno violato spesso e facilmente questi accordi. Kiev ha ritirato dal Donbass le aziende e le strutture statali; le pensioni non sono più state versate ai pensionati locali; e la legge per lo statuto speciale è stata respinta perfino nella sua forma più stringata. Dopo tutto ciò, non è chiaro come si potrà fare ritorno agli accordi già siglati. Di conseguenza, le parti potrebbero semplicemente adottare misure per evitare un’escalation del confitto nel periodo immediatamente antecedente all’inizio dell’inverno”, ha detto Sergei Markedonov, professore associato di discipline umanistiche all’Università statale russa e massimo specialista dell’area post-sovietica.

La questione fondamentale che si interpone al rispetto del compromesso raggiunto è la reciproca mancanza di fiducia tra le parti in conflitto. “I nostri partner devono essere disposti a negoziare, ma le forze ucraine hanno violato il cessate-il-fuoco circa tremila volte”, ha detto Vladimir Rogov, Presidente della commissione per le costruzioni statali per Novorossiya. “Non hanno rispettato neppure il Giorno del Silenzio fissato per il 9 dicembre, scelto per l’arrivo in Ucraina quello stesso giorno dei rappresentanti della missione del Fondo Monetario Internazionale (Fmi)”.

A prima vista, la situazione al fronte (la transizione dalle operazioni offensive alla guerra di trincea) dovrebbe agevolare l’inizio del processo negoziale. “Tuttavia, ancora non c’è una consapevolezza a tutto campo o una roadmap su come uscire da questa situazione. Pertanto a Minsk non mi aspetto una svolta, perché le parti sono arroccate sulle loro posizioni”, ha aggiunto Markedonov.

Posizioni irremovibili

Poroshenko avanzava condizioni molto dure. “Le pseudo-elezioni che si sono svolte nei territori controllati dai terroristi il 2 novembre devono essere annullate ed è indispensabile dare inizio ai preparativi per organizzare elezioni locali in linea con le leggi ucraine” ha detto il Presidente. Uno dei prerequisiti è che i separatisti siano disposti a rinunciare alla sovranità. In parallelo, l’Occidente sta esigendo che la Russia eserciti pressioni sulle repubbliche separatiste affinché queste condizioni siano accettate. Il Cremlino si rifiuta. “Quale beneficio trarrebbe Mosca da tali pressioni?”, ha chiesto Markedonov. “Dovrebbe esercitare pressioni nel suo stesso interesse, non per il solo scopo di fare concessioni e subirne le perdite derivanti. Il massimo su cui si può fare affidamento è che la Russia eserciti pressione sulle repubbliche per ridurre l’intensità del conflitto e costringere i separatisti a dare inizio al processo negoziale”, ha detto il professore associato.

Pur moderata, una pressione da parte di Mosca innervosirebbe le autorità delle repubbliche separatiste. “Nelle élite russe c’è chi pensa di poter mantenere beni, sicurezza, confort, asset all’estero e continuare a viaggiare. Invece devono capire che il mondo al quale si sono abituati non esiste più e non esisterà più”, ha detto Rogov.

Mosca potrebbe essere meglio in grado di convincere i separatisti a fare concessioni qualora Kiev fosse disposta a prendere in considerazione l’opinione russa. Il Presidente russo Vladimir Putin ha ripetutamente detto che il Cremlino considera il Donbass come parte di un’Ucraina unita, seppure federale, che garantisca alle regioni il diritto alle proprie politiche economiche, sociali e culturali. In ogni caso, Poroshenko, che il ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov chiama il “partner principale della Russia a Kiev”, si rifiuta di procedere con la decentralizzazione del paese. “Al momento, non è l’unico leader nel paese, come Putin, Lukashenko, Nazarbaev, o Heydar Aliyev, che guidano i negoziati nel Karabakh e hanno firmato l’accordo il 12 maggio 1994. L’Ucraina ha quanto meno un centro di potere guidato da Yatsenyuk, e al massimo un insieme sparso di mini-centri più piccoli. E sono tutti molto più radicali. Il Presidente è stato costretto a fare i conti con loro” ha detto Markedonov.

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