Le attuali emissioni di CO2 in Russia sono di circa il 69% rispetto ai livelli del 1990 (Foto: Sergei Kolyaskin)
Il 23 settembre, al vertice delle Nazioni Unite sul clima, il consigliere presidenziale russo sul clima Aleksandr Bedritsky ha annunciato che la Russia intende ridurre entro il 2030 le proprie emissioni di gas a effetto serra fino al 70-75% rispetto ai livelli del 1990. La dichiarazione di Bedritsky rappresenta la prima reazione russa in materia ambientale dopo il fallimento della Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite tenutasi nel 2012. In tale occasione, gli Stati firmatari del protocollo di Kyoto si erano rifiutati di rinnovarlo. Il primo periodo di applicazione del Protocollo di Kyoto (firmato nel 1997) si è concluso nel 2012. Per la Russia tale periodo non è stato così gravoso. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica in Russia, infatti, lo sviluppo della produzione industriale aveva subito un leggero rallentamento. I principali emissori di CO2 erano i centri per la lavorazione del petrolio, del carbone e del gas, ma i limiti consentiti venivano sempre e comunque rispettati. Ciò permetteva al Paese di vendere le quote inutilizzate di CO2, concesse a ciascun Stato, al resto dei Paesi firmatari del protocollo di Kyoto.
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Fino al 2012, la Russia era il secondo più grande venditore di quote inutilizzate dopo la Cina. Il Paese riusciva, ciononostante, a vendere sul mercato solo una piccola parte di queste quote per via della domanda piuttosto limitata. I principali acquirenti delle quote russe erano la Repubblica Ceca, la Polonia e il Giappone. Dopo la crisi economica europea, la domanda di quote a livello mondiale ha registrato un ulteriore calo. Per poter ottenere un’estensione dell’accordo e continuare a commerciare le quote anche a partire dal 2013, i Paesi firmatari del protocollo erano tenuti ad assumersi nuovi impegni per quanto riguarda la riduzione delle emissioni. A seguito del mancato accordo tra i Paesi firmatari sul prolungamento del protocollo di Kyoto, la Russia ha smesso di commerciare le proprie quote.
"Le quote di Kyoto, che molti Stati firmatari vendono e rivendono tra di loro, da un lato vanificano gli sforzi volti a combattere il cambiamento climatico, ma dall'altro sono un compromesso necessario. I Paesi che acquistano queste quote sono comunque consapevoli di essere soggetti a una multa e di vedersi pertanto costretti, prima o poi, a intraprendere lo sviluppo tecnologie di risparmio energetico", dichiara Yuri Lapin, studioso dell'Accademia Internazionale di Ecologia. Attualmente, i principali venditori di quote sono Cina, India, Brasile, mentre i principali acquirenti sono perlopiù Stati europei.
I passi a venire
Le attuali emissioni di CO2 in Russia sono di circa il 69% rispetto ai livelli del 1990 e rimangono entro i limiti consentiti. Secondo gli esperti intervistati da RBTH, per la Russia non sarà difficile, entro il 2030, stabilizzare e mantenere le emissioni di gas a effetto serra al 70-75% rispetto ai livelli del 1990, soprattutto se il Paese si dirigerà verso un uso più razionale delle risorse energetiche.
"Se la Russia inizierà la costruzione di strutture che si servono di nuove tecnologie basate sul risparmio energetico, con il conseguente abbandono delle attuali tecnologie di produzione, allora sarà del tutto possibile mantenere le emissioni di CO2 al 70-75% rispetto ai livelli del 1990”, ritiene Yuri Lapin. Condivide questo parere anche Alexei Kokorin: "L’80% di tutte le emissioni in Russia si limitano all’emissione di anidride carbonica prodotta dalla combustione di carbone, petrolio e gas. Il restante 20% viene dalla fuoriuscita di metano dalla nostra rete di trasporto del gas. Dichiarare di voler ridurre le emissioni entro il 2030 non è altro che una conferma dell’intenzione della Russia di passare a un sistema più efficiente a livello energetico”.
Anton Galenovitch, segretario esecutivo del gruppo di lavoro del Ministero dell'Economia e dell’organizzazione pubblica "Delovaya Rossiya", in un'intervista con il quotidiano Kommersant, ha dichiarato che l'obiettivo di voler ridurre le emissioni di CO2 annunciato dalla Russia è in contrasto con la strategia energetica del Paese fino al 2035 e che raggiungerlo, senza speciali misure di regolamentazione di suddette emissioni né tantomeno programmi statali in materia di efficienza energetica, sarà impossibile. Il Ministero dell'Ambiente non condivide questo parere e ritiene che la riduzione delle emissioni non sia affatto in contrasto con la strategia energetica della Russia, anzi la integri: "La strategia energetica prevede la necessità di limitare l’impatto del settore dei combustibili e della produzione dell’energia sull'ambiente, semplicemente riducendo le emissioni e sviluppando l’efficienza energetica”.
Yuri Safonov, direttore del Centro per economia e l'ambiente della Scuola Superiore di Economia, ritiene che uno dei modi per sviluppare l'efficienza energetica potrebbe essere quello di promuovere l'uso dei biocarburanti e dell'energia solare. Secondo il parere degli specialisti, tuttavia, l’energia alternativa non può competere per il momento con il petrolio, il gas e il carbone, né pertanto cambiare in maniera significativa la struttura di produzione dell’energia. La Russia ha recentemente firmato la Convenzione Minamata sulla graduale eliminazione del mercurio e ha attuato una serie di misure per l’adempimento della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti. Tutti gli esperti intervistati da RBTH ritengono che il rinnovato interesse della Russia nei confronti delle tematiche ambientali non risponda affatto a un semplice desiderio del Paese di incrementare il proprio peso politico sulla scena internazionale e sostengono che Mosca sia sempre stata attiva, a livello internazionale, in ambito ambientale.
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