Le sanzioni "militari" dell'Unione Europea: pragmatico divorzio o lacerante separazione?

Foto: Itar Tass

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L'interruzione della cooperazione tecnologico-militare tra la Russia e l'Unione Europea potrebbe danneggiare entrambe le parti coinvolte

Il 31 luglio l'Unione Europea ha approvato in via definitiva le cosiddette sanzioni "settoriali" nei confronti della Russia sulla cui entrata in vigore gli Stati Uniti insistevano da tempo. Tra di esse vi è anche una restrizione alquanto insolita: il divieto di cooperazione tecnologico-militare. La maggior parte delle persone in Russia, come anche nei paesi dell'Unione Europea, si porranno una domanda del tutto legittima: esiste questa cooperazione? Vi sono dei contratti in proposito, e portano vantaggi non solo alla Russia.

Nuovi strumenti di pressione

"Divieto di stipulare nuovi contratti con la Russia nell'ambito della Difesa, e di fornire alla Federazione Russa mezzi militari, apparecchiature elettroniche e prodotti dell'industria civile che possano essere impiegati per scopi militari", è questa la formula che nelle intenzioni dei legislatori europei dovrebbe diventare una delle leve per influenzare la Russia e contrastare le sue posizioni nei riguardi dell'Ucraina. Presto, dunque, il presidente Vladimir Putin sarà costretto ad annunciare il passaggio della Russia alla produzione nazionale indipendente dei componenti per l'industria militare, al fine di evitare "rischi politici". 

"Per tutti noi vi sono alcuni dati che risultano evidenti. Il primo è che siamo perfettamente in grado di produrre tutto da soli. Assolutamente tutto", ha sottolineato il presidente, osservando che è necessario mantenere un livello accettabile di prezzi e di qualità della produzione.

Qual è dunque il problema? Se non vi sono relazioni, perché il presidente in persona esprime il suo parere in proposito? In primo luogo, il problema delle forniture di componenti riguarda piuttosto la sospensione della cooperazione con l'Ucraina; in secondo luogo, dei problemi ovviamente si presenteranno e influiranno appunto sui fattori appena citati del prezzo e della qualità, e sulle tempistiche per completare il programma russo di ammodernamento delle dotazioni dell'esercito, per il quale è prevista una spesa di ventimila miliardi di rubli nel periodo 2011-2020.  

Ma se anche i problemi di produzione di mezzi e attrezzature venissero in un modo o nell'altro risolti, l'attuazione di un'altra parte di questo programma, e cioè l'ammodernamento del comparto industriale militare, per il quale sono stati stanziati altri tremila miliardi di rubli per lo stesso periodo, potrebbe andare incontro a delle difficoltà.  

Si tratta per l'appunto di quei "mezzi militari, apparecchiature elettroniche e prodotti dell'industria civile che possano essere impiegati per scopi militari": ovvero i macchinari industriali, i componenti chimici, le tecnologie, e persino la cooperazione per produrre mezzi e attrezzature destinati a mercati terzi.  Vale la pena di osservare che l'industria meccanica russa è rimasta sepolta sotto le macerie dell'URSS, e che il processo di ricostruzione non è ancora iniziato.  Finora era stato più semplice e meno costoso acquistare i macchinari dall'estero.   

L'economia dell'innovazione è in pericolo

Come ha osservato il direttore del Centro di sicurezza internazionale dell'Istituto di Economia Mondiale e Relazioni Internazionali (IMEMO) dell'Accademia delle Scienze russa Aleksei Arbatov, "In tal caso potremo scordarci i progetti di passaggio a un'economia basata sull'innovazione, e anche la realizzazione di sistemi di difesa all'avanguardia. Naturalmente, anche da soli saremo in grado di fare qualcosa, ma i costi risulteranno maggiori e la qualità inferiore". 

 
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Davvero andrà tutto così male? Dipenderà dall'applicazione pratica delle sanzioni e dal loro grado di globalità (continueranno le forniture dal Giappone? Quali articoli in particolare saranno inclusi nelle liste?). Va osservato che la Russia non ha mai ottenuto pieno accesso alle merci a duplice uso dagli Stati Uniti e dall'Europa dopo la disgregazione dell'URSS, e che pertanto il paese per quanto riguarda l'industria militare è piuttosto indipendente dai mercati esteri (a differenza di quanto accade, ad esempio, per l'estrazione del petrolio).  

Che cosa rappresenta esattamente la componente militare senza alcuna "duplice" destinazione d'uso? Essa esiste, ma è molto ridotta, e in quest'ambito è piuttosto l'Europa a dipendere dalla Russia, e non il contrario. Lo scorso anno il volume degli acquisti dai paesi dell'Unione Europea, oltre all'importo della nave da sbarco Mistral, è stato di soli trecento milioni di euro, mentre la Russia ha venduto all'Unione Europea mezzi militari e componenti per tre miliardi di euro, che comunque non sono molti rispetto al volume complessivo annuale del commercio di armamenti russi, che è di quindici miliardi di dollari. I tre miliardi appena citati rappresentano il costo della manutenzione dei mezzi di fabbricazione sovietica ancora in dotazione ai paesi dell'Europa orientale.  Se il servizio di manutenzione verrà interrotto, la Russia perderà una somma ingente, ma sostituire l'equipaggiamento degli eserciti di questi paesi con le armi della NATO sarebbe piuttosto oneroso. Si tratta di una spesa che essi da soli non potrebbero sostenere. Resta aperto un grande interrogativo: gli Stati Uniti saranno disposti a spendere per i loro "più stretti alleati della nuova Europa", oppure la spesa graverà sui paesi dell'Unione Europea, che i governanti d'oltreoceano da tempo accusano di partecipare troppo fiaccamente allo sforzo finanziario per gli armamenti della NATO?        

È noto invece quali potrebbero essere le perdite nell'ambito dei progetti bilaterali già in corso.

"Per quanto riguarda la cooperazione tecnologico-militare dobbiamo passare dall'assemblaggio puro e semplice dei mezzi presso le nostre aziende, ossia dal cosiddetto "cacciavite", alla produzione congiunta, di modo che la localizzazione della produzione di elicotteri e mezzi blindati sia ripartita al 50 per cento tra i nostri due paesi", è la dichiarazione rilasciata dal ministro della Difesa russo Sergei Shojgu durante una visita in Italia ad agosto dell'anno scorso. 

La controparte italiana è stata in un certo senso danneggiata in seguito all'avvicendamento dei vertici militari russi. L'episodio riguarda i mezzi blindati LMV65 dell'azienda Iveco, il cui contratto di fornitura era stato firmato durante il mandato del precedente ministro della Difesa Anatolij Serdjukov. 

Allora si era parlato della fornitura di quasi tremila mezzi, ma dopo l'entrata in carica del nuovo ministro della Difesa si è puntato invece sui produttori nazionali. In base al contratto già firmato, con i componenti di fabbricazione italiana verranno assemblate in Russia 358 camionette. La parte russa ha poi annullato ogni ulteriore fornitura. Non è noto se il contratto fosse già stato onorato al momento dell'introduzione delle sanzioni.  

Se la sorte delle camionette blindate rimane incerta, il progetto della società italiana Fincantieri e del centro di ingegneria navale russo Rubin per la produzione del sottomarino di piccole dimensioni S-1000 è già stato sospeso fino a data da destinarsi.

Il progetto congiunto per la realizzazione di un piccolo sottomarino a propulsione non nucleare era stato avviato dall'italiana Fincantieri e dalla russa Rubin nel 2004. L'S-1000 è progettato per l'impiego nelle condizioni climatiche dei Tropici, tra le isole, per lo più in acque poco profonde. I concetti su cui si basa il progetto sono elevata efficienza bellica, facilità d'uso e costi contenuti.    

Una spia dell'andamento delle relazioni bilaterali tra i nostri paesi sarà la prossima riunione annuale della Commissione russo-italiana per la cooperazione tecnico-militare, che si terrà in Italia. Dal fatto se questa riunione si terrà o meno e dai suoi eventuali risultati dipenderanno le prospettive di sviluppo dei nostri rapporti bilaterali.

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