Gli spazi per il dialogo

Sergei Rjabkov, vice ministro degli Esteri della Federazione Russa (Foto: Itar Tass)

Sergei Rjabkov, vice ministro degli Esteri della Federazione Russa (Foto: Itar Tass)

Quale sarà il futuro delle relazioni tra Russia e Stati Uniti? Ecco la versione di Sergei Rjabkov, vice ministro degli Esteri della Federazione

Rbth propone ai suoi lettori alcuni estratti da un'intervista al vice titolare del Ministero degli Esteri russo, Sergei Rjabkov, responsabile dei rapporti con l'America nella politica estera russa. Rjabkov ha parlato con il corrispondente di Kommersant delle prospettive dell'interazione tra Russia e Stati Uniti sullo sfondo della crisi ucraina.

Le pressioni economiche

Sappiamo per certo che l'amministrazione USA ha ostacolato, esercitando la sua influenza sia sui propri alleati che sugli imprenditori, la partecipazione di questi ultimi a tutta una serie di forum e di eventi importanti per la Russia. Questa è una condotta distruttiva. Essa di certo non influenza in alcun modo il corso della nostra politica, ma in compenso spinge in un vicolo cieco i rapporti tra Mosca e WashingtonGli Stati Uniti hanno abbandonato i collaudati ed efficaci metodi del dialogo e della cooperazione con il nostro paese, che pure si erano dimostrati validi. Ciò riguarda innanzitutto la commissione presidenziale bilaterale e il dialogo sui temi economici. L'amministrazione USA ha deciso che questo dialogo non è necessario. Io non avrei mai pensato che le questioni del commercio, degli investimenti e dell'accesso al mercato potessero essere sacrificate con tanta facilità a delle considerazioni geopolitiche.

 

La logica del Cremlino
nella crisi ucraina

Le sanzioni sono un'arma offensiva

Ora, invece, il mercato si sta trasformando in uno strumento della politica estera. Vengono impiegati sempre più spesso metodi proibiti, che non hanno niente a che vedere con gli interessi del mercato e con le considerazioni di efficienza economica. Tutto ciò è subordinato all'obiettivo prettamente geopolitico di frenare o addirittura di mettere in disparte un paese o dei paesi che per le caratteristiche peculiari della loro politica estera o per qualche altro motivo non vanno bene agli Stati Uniti. Vi è tutta una serie di altre allarmanti manifestazioni di questo modo di pensare: in particolare, l'impiego sempre più vasto dello strumento delle sanzioni, comprendenti anche misure che limitano l'erogazione dei servizi bancari necessari per svolgere normalmente un'attività economica. Non si tratta di altro che di una nuova arma offensiva, e in un certo senso addirittura di un'arma strategica della politica estera americana. L'impressione che se ne ricava è che le strutture di potere a Washington si siano convinte che talvolta è più facile e meno dispendioso applicare delle sanzioni nei confronti di qualcuno piuttosto che esercitare la tradizionale proiezione di forza militare. Abbiamo insomma a che fare con un nuovo tipo di arma offensiva.  

La reazione della Federazione Russa alle sanzioni

Noi non ci lasciamo coinvolgere in questa corsa agli armamenti, e non abbiamo intenzione di rispondere in maniera speculare a mosse del genere. Non lo faremo. Però siamo costretti a cercare un antidoto. Bisogna trovare un'arma difensiva da opporre a quella offensiva, ed è appunto questo che cercheremo di fare. Ci tengo a sottolineare che nessuna componente dei rapporti con gli Stati Uniti viene distrutta per nostra iniziativa. Noi non vogliamo percorrere la strada scelta dagli USA, nemmeno sullo sfondo di quanto sta accadendo e in considerazione del fatto che noi non accettiamo la politica antirussa che sta alla base di molte recenti decisioni di Washington sui suoi rapporti con il nostro paese. 

Le prospettive della cooperazione bilaterale

Gli interessi dei due paesi, nonostante tutte le loro divergenze e le frequenti contraddizioni, non devono solo generare discussioni, scontri, contrapposizioni, o riproporre situazioni di crisi. Questi interessi sono talmente ampi che esiste tutta una serie di ambiti in cui la cooperazione non solo è possibile, ma risulta indispensabile. Esistono situazioni di crisi in determinate regioni. Vi sono le questioni del progresso tecnico-scientifico nei settori maggiormente all'avanguardia, come il nucleare o il settore aerospaziale. Noi senza dubbio continueremo a dedicarci alle attività umanitarie. Ad esempio, abbiamo l'obiettivo (che non è mai stato abbandonato) di arrivare col tempo ad abolire i reciproci visti di ingresso per i cittadini di Russia e Stati Uniti.  

I motivi della tensione nei nostri rapporti

La causa è una sola: la politica di Washington: gli Stati Uniti ritengono di avere vinto la guerra fredda, e che la Russia, erede dell'Unione Sovietica, l'abbia persa. Ne deriva che Mosca deve sottomettersi e comportarsi come un partner inferiore negli affari internazionali e nei rapporti con gli Stati Uniti. In sostanza, si nega la possibilità stessa dell'esistenza di nostri interessi nazionali specifici. Si nega anche la possibilità che esista un sistema di valori distinto da quello a cui si conformano gli stati Uniti e gli altri paesi occidentali. Alla Casa Bianca e al Congresso ha prevalso tutt'altro istinto: quello di punire la Russia per qualcosa di sbagliato che essa, secondo loro, avrebbe fatto. Molti politici del Campidoglio non fanno il minimo sforzo per cercare di comprendere l'essenza dei nostri argomenti.

Le armi nucleari e la difesa antimissilistica

Noi continuiamo ad attenerci rigorosamente all'accordo New START del 2010. Ciò significa che non stiamo incrementando il numero delle armi strategiche offensive e che stiamo mettendo in atto misure per favorire la fiducia e la trasparenza. Attualmente sia il potenziale della Russia che quello degli Stati Uniti in questo settore sono al livello più basso mai raggiunto da molti decenni. Anche la trasparenza in quest'ambito ormai è notevole. Nel campo della difesa antimissilistica, invece, non sono stati compiuti né sono previsti passi avanti in direzione di un accordo.

La cooperazione sulla questione iraniana

A mio modo di vedere, non c'è motivo di temere che la situazione che riguarda l'Ucraina possa trasformarsi in una "bomba" capace di far saltare i colloqui sul programma nucleare iraniano o di ostacolare il loro corso e i loro risultati. Ci sembra che i colleghi degli Stati Uniti, così come i paesi dell'Unione Europea che prendono parte al processo, condividano la convinzione nostra e della Cina che tutti avrebbero da guadagnare dal raggiungimento di un accordo.

Qui il testo originale dell'intervista

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